Identificazione degli individui a elevato rischio cardiovascolare
Luigi Palmieri1, Michela Trojani1, Giuseppe
Traversa1, Roberto Da Cas1, Carlo Romagnoli2, Salvatore
Panico3, Diego Vanuzzo4 e Simona Giampaoli1
1Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e
Promozione della Salute, ISS
2Servizio II, Programmazione Socio Sanitaria dell’Assistenza
di Base e/o Ospedaliera, Osservatorio Epidemiologico Regione
dell’Umbria, Perugia
3Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università
degli Studi “Federico II”, Napoli
4Centro per la Lotta contro le Malattie Cardiovascolari,
ASS4 Medio Friuli, Agenzia Regionale della Sanità del Friuli-Venezia Giulia, Udine
Gli inibitori dell’enzima HMG-CoA reduttasi (statine) sono
farmaci utilizzati in prevenzione primaria e secondaria per
abbassare la colesterolemia. Studi controllati e
randomizzati hanno dimostrato che riducono gli eventi
cardiovascolari maggiori e la mortalità cardiovascolare in
prevenzione secondaria; in prevenzione primaria il loro
effetto varia con il rischio globale assoluto basale (1, 2).
Sono indicati pertanto nelle persone a elevato rischio
cardiovascolare (3), ma poco si conosce su quante persone
oggi in Italia seguono tali indicazioni.
Con questo studio si vuole stimare l’impatto della
valutazione del rischio cardiovascolare globale assoluto
attraverso le carte del rischio e il punteggio individuale
proposto dall’Istituto Superiore di Sanità
(www.cuore.iss.it). La popolazione italiana a elevato
rischio che risulta suscettibile di trattamento ipocolesterolemizzante è stata confrontata con la
popolazione che oggi utilizza le statine.
La popolazione su cui sono stati applicati carta e punteggio
individuale è costituita da 3 543 uomini di 40-69 anni
esaminati nell’ambito dell’Osservatorio Epidemiologico
Cardiovascolare. Per queste persone erano disponibili i
fattori utilizzati per valutare il rischio di primo evento
cardiovascolare maggiore (infarto del miocardio o ictus) in
un periodo di 10 anni attraverso la carta e il punteggio
individuale: età, genere, pressione arteriosa sistolica,
colesterolemia totale, abitudine al fumo di sigaretta,
diabete, HDL-colesterolemia e terapia antipertensiva.
Calcolato il rischio, è stata stimata la numerosità di due
categorie di rischio definite in base alle linee guida
europee (3):
• rischio ≥ 20%;
• rischio ≥ 20% e suscettibilità di trattamento
ipocolesterolemizzante (≥ 190mg/dl).
I risultati sono presentati in termini assoluti, estrapolati
alla popolazione italiana del 2001, disaggregati per decenni
di età.
Per stimare la popolazione utilizzatrice di statine si è
fatto riferimento ai consumi farmaceutici a carico del
Servizio Sanitario Nazionale nella regione Umbria nel 2002.
Specificamente, a partire dal sistema regionale di
monitoraggio delle prescrizioni dell’Umbria, sono state
selezionate tutte le prescrizioni di statine. Tramite il
codice regionale dell’assistibile sono state recuperate le
informazioni anagrafiche (età e sesso) mediante record
linkage con l’anagrafe regionale degli assistibili e sono
state calcolate le prevalenze d’uso (rapporto fra
utilizzatori nel corso dell’anno e popolazione residente)
nelle classi di età 40-49, 50-59 e 60-69. L’analisi è stata
ristretta agli uomini. Per la stima degli utilizzatori
attesi in Italia, i tassi di prevalenza specifici per età
sono stati applicati alla popolazione italiana.
La
Tabella 1 riporta la stima del numero di persone con
rischio di primo evento cardiovascolare maggiore in 10 anni
uguale o superiore al 20% applicando la carta del rischio e
il punteggio individuale a uomini di 40-69 anni esenti da un
precedente evento cardiovascolare.
Si può stimare attraverso il punteggio individuale che in
Italia circa 640 000 uomini di età compresa tra 40 e 69 anni
abbiano un rischio di un primo evento cardiovascolare
maggiore in 10 anni uguale o superiore al 20%, e un livello
di colesterolo ≥ 190 mg/dl e siano suscettibili quindi di
trattamento ipocolesterolemizzante.
Per quanto riguarda i dati dell’Umbria sull’uso delle
statine, gli utilizzatori delle classi di età 40-69 anni
rappresentano il 65% di tutti gli uomini che utilizzano
questo farmaco. La prevalenza d’uso va dal 2,6% nella fascia
d’età 40-49 anni al 10,7% in quella 60-69 anni (Tabella 2).
Sulla base di questi dati si può stimare che il numero di
utilizzatori a livello nazionale nella classe di età 40-69
anni sia di circa 680 000.
Questa stima può essere considerata in buona misura
sovrapponibile a quella derivante dall’applicazione del
punteggio individuale, in presenza di un rischio atteso di
malattia cardiovascolare in 10 anni superiore al 20%.
I risultati di questo studio stimolano alcune riflessioni,
soprattutto per i medici che si apprestano a introdurre nel
loro bagaglio professionale quotidiano l’uso delle carte del
rischio cardiovascolare e il punteggio individuale per
definire quegli individui ai quali comunicare l’esistenza di
una condizione di rischio elevato e l’esigenza di un
trattamento farmacologico preventivo. Si tratta di un
impegno rilevante in termini numerici, ma anche di un
cambiamento di mentalità rispetto a quanto finora i medici
sono abituati a fare. La cronicità dell’intervento medico
aumenta considerevolmente anche la responsabilità del medico
che, in molti casi, si troverà a gestire pazienti del tutto
asintomatici e potenzialmente “lontani” dall’evento da
prevenire.
Va tenuto presente che fino a oggi per la stima del rischio
di un primo evento cardiovascolare è stato utilizzato un
algoritmo derivato da una popolazione americana con una
sovrastima del rischio ampiamente documentata per la nostra
popolazione.
La dimensione numerica richiama anche problemi di carattere
economico, oltre che di compliance, visto che i trattamenti
previsti possono durare decenni. Come si può dedurre da
questo studio, utilizzare le carte o il punteggio
individuale comporta dimensioni numeriche molto diverse;
questo è dovuto al fatto che le carte sono costruite su sei
fattori di rischio e i fattori vengono considerati per
classi, mentre il punteggio individuale considera otto
fattori e deriva da una funzione in cui pressione sistolica,
colesterolemia totale e HDL-colesterolemia vengono
considerati in modo continuo, pertanto con una valutazione
più accurata.
La riflessione che ne consegue è che, se la carta è utile
per definire l’appartenenza a categorie di maggiore o minore
rischio, il punteggio consente un’accurata definizione del
rischio individuale. L’appropriato utilizzo del risultato di
questo punteggio appare ancora lontano considerando i dati,
sia pur indiretti, che sono disponibili. Questo dato,
insieme a quelli delle altre categorie di potenziali
utilizzatori di farmaci ipocolesterolemizzanti, suggerisce
la necessità di puntare sull’aggiornamento dei medici
prescrittori.
Sebbene il numero di coloro che sono ad alto rischio e di
coloro che assumono terapia specifica sia simile, è
difficile capire quanto del consumo attuale delle statine
sia dovuto a prevenzione secondaria nelle persone che hanno
già avuto un evento cardiaco maggiore, quanto alla primaria
e, di questa, quale quota sia dovuta al calcolo del rischio
individuale oppure alla presenza di dislipidemia familiare.
Questo sarà l’obiettivo del prossimo lavoro.
Riferimenti bibliografici
1. Ebrahim S, Davey Smith G, McCabe CCC, et al. What role
for statins? A review and economic model.
Health Technology Assessment 1999;3(19):1-91.
2. LaRosa JC, He J, Vupputuri S. Effect of statins on risk
of coronary disease: a meta-analysis of randomized
controlled trials. JAMA 1999;282:2340-6.
3. Task
Force of European and other Societies on Coronary
Prevention, Wood D, De Backer G, et al. Prevention of
coronary heart disease in clinical practice. European Hearth
Journal 1998;19:1434-503.