Incidenza delle infezioni in terapia intensiva e subintensiva neonatale. 
					
										Ospedale "San Camillo" di Roma 2002
					
					Luisa Sodano1, 
					Marcello Assumma1, Gabriella Pellegrini1, Massimiliano Di 
					Renzi2, Patrizia Cirulli1, Carla Fioriello1 e Carla Zaccaro1
					
					1Azienda Ospedaliera “San Camillo-Forlanini”, Roma
					2Università degli Studi “La Sapienza”, Roma
					
					L’incidenza delle infezioni ospedaliere (IO) nelle terapie 
					intensive neonatali (TIN) presenta un’ampia variabilità in 
					letteratura, dall’8% al 30% (1, 2); in Italia, in uno studio 
					multicentrico del 1993-94 (3, 4), fu stimata un’incidenza 
					media di IO di circa il 25%, con una variabilità tra le TIN 
					partecipanti definita “impressionante” dagli stessi autori.
					
					Presso la terapia intensiva e subintensiva neonatale (SUBTIN) 
					dell’Ospedale “San Camillo” di Roma, tra il 16 aprile e il 
					15 ottobre 2002, con l’obiettivo principale di determinarne 
					l’incidenza, è stata condotta la sorveglianza delle seguenti 
					infezioni: polmoniti, batteriemie con conferma di 
					laboratorio, sepsi cliniche, infezioni locali correlate alla 
					linea vascolare centrale (LVC), infezioni delle vie urinarie 
					(IVU), meningiti, enterocolite necrotizzante. Sono state 
					adottate le definizioni di caso dei Centers for Disease 
					Control and Prevention - CDC (5), che prevedono la 
					combinazione di criteri clinici, microbiologici e 
					strumentali. Sono state considerate di origine materna le 
					infezioni insorte entro 48 ore dalla nascita, ospedaliere 
					quelle sviluppatesi dopo 48 ore di vita. Secondo i criteri 
					del National Nosocomial Infections Surveillance (NNIS) 
					System dei CDC (6, 7), le batteriemie/sepsi cliniche sono 
					state definite associate alla LVC e le polmoniti associate 
					al ventilatore, se sviluppatesi in neonati esposti alla 
					procedura invasiva in uso nelle 48 ore prima della loro 
					insorgenza. Trattandosi di sorveglianza attiva, la raccolta 
					delle informazioni è stata effettuata presso i reparti da 
					operatori esterni (infermieri addetti al controllo delle 
					IO). I dati sono stati archiviati e analizzati con il 
					programma Epi Info 6.04b.
					
					Nel semestre in esame sono stati ricoverati in TIN e/o 
					SUBTIN 117 neonati, con una durata mediana della degenza di 
					21 giorni. Un neonato su quattro aveva un peso alla nascita 
					≤ 1 500 g, circa il 78% era nato da taglio cesareo, uno su 
					cinque da gravidanza gemellare. Quattro bimbi (3,4%) sono 
					deceduti durante il ricovero in neonatologia, per motivi 
					diversi dalle infezioni. Solo 15 neonati (12,8%) non avevano 
					fattori di rischio prenatali. Per 105 bambini era 
					disponibile il dato su eventuali infezioni/colonizzazioni 
					materne, riscontrate in 24 madri (22,9%), di cui 6 con 
					positività per Streptococcus di gruppo B e 4 per Candida.
					
					Nei 117 neonati l’incidenza cumulativa di infetti è 
					risultata del 12% e quella di infezioni del 13,7%; due 
					infezioni di Streptococcus sono insorte entro 48 ore dalla 
					nascita e vengono escluse dal computo delle IO. Le più 
					frequenti infezioni ospedaliere per localizzazione sono le 
					IVU (6, pari al 42,9%), seguite dalle batteriemie/sepsi 
					cliniche (5, pari al 35,7%, di cui 2 batteriemie e 3 sepsi 
					cliniche). Sono state inoltre rilevate una polmonite, 
					un’enterocolite necrotizzante e un’infezione locale 
					associata alla LVC. Il patogeno più frequente è Candida spp, 
					di cui un ceppo (C. glabrata) è stato isolato in una delle 
					due batteriemie; nell’altra, l’agente eziologico rilevato 
					era Staphylococcus capitis.
					La 
					
					Tabella riporta, per peso alla nascita, 
					l’incidenza delle IO globalmente considerate e l’incidenza 
					delle IO associate a procedure invasive (batteriemie/sepsi 
					cliniche per 1 000 giorni di esposizione alla LVC e 
					polmoniti per 1 000 giorni di ventilatore). L’incidenza 
					cumulativa delle IO è significativamente più elevata nei 
					neonati di peso alla nascita molto basso (p < 0,01), in cui 
					non sono state però rilevate né batteriemie/sepsi cliniche 
					né polmoniti. Considerando solo due classi di peso alla 
					nascita (≤ 1 500 g e > 1 500 g), la densità di incidenza 
					delle batteriemie/sepsi cliniche associate alla LVC è 
					rispettivamente di 2,7 (intervallo di confidenza (IC) al 
					95%: 0-14,8) e di 5,8 (IC al 95%: 0,1-20,7) per 1 000 giorni 
					di esposizione alla LVC; per le polmoniti associate al 
					ventilatore la densità di incidenza, nella sola classe di 
					peso > 1 500 g, è di 14,7 per 1 000 giorni di esposizione al 
					ventilatore (IC al 95%: 0,4-79,2).
					Il rapporto di utilizzazione della LVC aumenta con 
					l’incremento del peso alla nascita; un trend simile si 
					registra per l’esposizione al ventilatore.
					
					Pur con la dovuta cautela per la bassa numerosità della 
					popolazione in esame, i risultati del nostro studio possono 
					essere considerati soddisfacenti, se confrontati con quelli 
					della letteratura (1, 2) e, in particolare, dello studio 
					multicentrico italiano del 1993-94 (3, 4). Ciò vale 
					soprattutto per i neonati di peso ≤ 1 500 g, in merito sia 
					all’incidenza delle infezioni più gravi (battteriemie/sepsi 
					cliniche e polmoniti) che al ricorso a procedure invasive 
					come la LVC e il ventilatore.
					
					Gli indicatori del NNIS System dei CDC si confermano un 
					utile strumento di sorveglianza delle IO in un’area critica, 
					come quella delle TIN. Appare sempre più opportuna la 
					costruzione di una rete nazionale di sorveglianza, che 
					fornisca con continuità dati epidemiologici di riferimento, 
					in modo da consentire appropriati confronti tra le diverse 
					realtà assistenziali.
					
					Il commento
					Maria Luisa Moro
					Responsabile Area di Programma Rischio Infettivo, Agenzia 
					Sanitaria Regionale, Bologna
					
					Le unità di terapia intensiva neonatale (TIN) 
					rappresentano aree particolarmente critiche per chi ha la 
					responsabilità di contenere il rischio di infezione in 
					ospedale entro livelli accettabili. L’incidenza di infezioni 
					è, infatti, particolarmente elevata, sia per le particolari 
					condizioni di suscettibilità che per le molteplici occasioni 
					di trasmissione delle infezioni attraverso le pratiche 
					assistenziali. A fronte di questi rischi, i programmi di 
					controllo non sempre riescono a mantenere livelli costanti 
					di adesione alle pratiche raccomandate (ad esempio, il 
					lavaggio delle mani) (8).
					
					Disporre di dati, di processo o di esito, utili a effettuare 
					un audit delle misure di prevenzione e controllo del rischio 
					infettivo in questi reparti è essenziale: per identificare 
					quali siano in ciascun contesto i rischi evitabili, per 
					sensibilizzare gli operatori, per mantenere alto il livello 
					di attenzione.
					
					Nello studio condotto presso l’ospedale “San Camillo” di 
					Roma, è stato utilizzato per 6 mesi il modello di 
					sorveglianza delle infezioni proposto dai CDC statunitensi, 
					adottato negli Stati Uniti nell’ambito di una rete di 
					ospedali sentinella a livello nazionale (NNIS). Il NNIS 
					rileva dati concernenti l’incidenza di infezioni (esito) e 
					la frequenza di ricorso a procedure invasive (processo); i 
					dati vengono pubblicati annualmente, riportando la 
					distribuzione di questi indicatori nelle diverse TIN, in 
					modo che ciascuna di esse possa valutare come si colloca 
					rispetto alle altre. Questo modello, nelle unità di terapia 
					intensiva per adulti partecipanti al NNIS, è stato efficace 
					a produrre una riduzione significativa dell’incidenza di 
					infezioni nell’arco di 10 anni (1990-99).
					
					In altri Paesi, ad esempio, la Gran Bretagna, le unità di 
					terapia intensiva per adulti e neonatali non sono invece 
					state incluse nella rete di sorveglianza nazionale, che 
					rileva invece dati sulle infezioni della ferita chirurgica 
					(mediante sorveglianza attiva) e sulle sepsi (attraverso il 
					laboratorio). Alla base di questa scelta vi è la 
					considerazione che le infezioni che insorgono in pazienti 
					critici sono spesso determinate da fattori di rischio 
					intrinseci e che di conseguenza il confronto tra centri è 
					reso difficile dall’effetto confondente di differenze nel 
					case-mix dei pazienti trattati.
					
					A tale proposito, Gastmeier, ha rilevato come solo i centri 
					i terapia intensiva con scostamenti estremi dalla mediana 
					(centri che si collocavano sopra il 90° percentile) 
					potessero essere effettivamente considerati outlier; solo in 
					questi l’elevata frequenza di infezioni rilevata 
					corrispondeva, infatti, a pratiche substandard per il 
					controllo delle infezioni (9).
					
					Da una parte abbiamo, quindi, l’osservazione empirica del 
					NNIS, in cui la partecipazione a un sistema di sorveglianza 
					produce un miglioramento della qualità dell’assistenza, 
					misurabile in una riduzione dell’incidenza di infezioni 
					(probabilmente per l’effetto Hawthorne dell’essere 
					sorvegliati), dall’altra i dubbi sollevati da molti 
					sull’opportunità di utilizzare i tassi di incidenza in area 
					critica come strumento per il benchmarking.
					
					La risposta sta probabilmente nel conservare un giusto 
					equilibrio, utilizzando più indicatori per valutare la bontà 
					dei programmi di controllo attuati: indicatori di esito, 
					quali l’incidenza di infezioni in pazienti esposti a 
					procedure invasive, ma anche il verificarsi o meno di 
					epidemie o la diffusione di patogeni sentinella (realizzando 
					quanto più possibile una sorveglianza stabile, che dura nel 
					tempo); indicatori di processo, quali il ricorso a procedure 
					invasive, ma anche osservazioni mirate sul lavaggio delle 
					mani o sulle modalità di gestione delle procedure invasive; 
					indicatori di struttura, quali la disponibilità di 
					protocolli condivisi e rispondenti a standard di buona 
					pratica assistenziale, o di personale adeguatamente formato 
					rispetto al rischio infettivo.
					
					La lettura integrata di tutte queste dimensioni consentirà 
					di valutare se ci si trova di fronte a una situazione 
					“soddisfacente” oppure se è il caso di avviare interventi 
					ulteriori.
					
					Riferimenti bibliografici
					
					1.  Baltimore RS. Neonatal nosocomial infections. 
					Seminars in Perinatology 1998;22:25-32.
					2.  Fanos V, Cataldi L. Infezioni ospedaliere in terapia 
					intensiva pediatrica e neonatale: un aggiornamento 
					epidemiologico. Ped Med Chir 2002;24:13-20.
					3.  Moro ML, Stolfi I. Studio multicentrico sulle infezioni 
					nosocomiali in TIN. Riv Ital Pediatr 1996;22:711-14.
					4.  Stolfi I, Moro ML, Lana S. Frequenza e variabilità delle 
					infezioni ospedaliere in Terapia Intensiva Neonatale. Riv 
					Ital Pediatr 1999;25:193-200.
					5.  Garner JS, Jarvis WR, Emori TG, et al. CDC definitions 
					for nosocomial infections. In: Olmsted RN (Ed.). APIC 
					infection control and applied epidemiology: principles and 
					practice. St Louis: Mosby, 1996. p. A-1-20.
					6.  Horan TC, Emori TG. Definitions of key terms used 
					in the NNIS System. Am J Infect Control 1997;25:112-6.
					7.  Centers for Disease Control and Prevention. Guidelines 
					for the prevention of intravascular catheter-related 
					infections. MMWR 2002;51:RR-10.
					8.  Pittet D, Mourouga P, Perneger TV. Compliance with 
					handwashing in a teaching hospital. Infection control 
					program. Ann Intern Med 1999;130(2):126-30.
					9.  Gastmeier P, Sohr D, Geffers C, et al. Are nosocomial 
					infection rates in intensive care units useful benchmark 
					parameters? Infection 2000;28(6):346-50.

 Bollettino epidemiologico nazionale
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