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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro


Le disuguaglianze sociali nella malattia diabetica

Marina Maggini1 e Carlo Mamo2

1Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma

2Servizio Sovrazonale di Epidemiologia, ASL TO 3, Grugliasco (TO)

 

Secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riferite al 2005, il diabete è responsabile del 2% della mortalità generale nel mondo (circa 1.125.000 decessi). Tale contributo risulta oltretutto sottostimato, dal momento che la causa del decesso di un diabetico viene spesso codificata in base alla complicanza; le malattie cardiovascolari, infatti, causano nei Paesi sviluppati fino al 65% di tutte le morti delle persone con diabete. Si sta assistendo ad una epidemia mondiale di diabete, con una prevalenza che arriverà fino al 6,3% nel 2025, coinvolgendo 333 milioni di persone in tutto il mondo. L’OMS ha quindi inserito il diabete tra le patologie croniche su cui maggiormente investire per la prevenzione, dato il crescente peso assunto da questa patologia anche nei Paesi in via di sviluppo e vista la possibilità di attuare misure preventive efficaci e di basso costo (1).

 

In Italia, per il 2008, l’ISTAT stima una prevalenza del diabete noto pari a 4,8%; in base a questi dati le persone con diabete in Italia sono circa 2.900.000. La prevalenza di diabete è più alta nel Sud e nelle Isole, con un valore del 5,8%, seguita dal Centro con il 5,3% e dal Nord con il 3,9%. La differenza tra le aree geografiche rimane anche dopo aver standardizzato per età.

 

È diffusa la percezione che il diabete, come altre malattie croniche, sia un problema soprattutto dei Paesi ad alto reddito e delle classi più agiate, mentre sono proprio le classi economicamente e socialmente svantaggiate ad esserne più gravemente colpite. Le persone indigenti e meno istruite tendono ad avere comportamenti a rischio per diversi motivi: percezione errata dei rischi comportamentali, maggiore stress psicosociale, scelta limitata dei modelli di consumo, accesso inadeguato alle cure e all’educazione sanitaria. Le minori risorse economiche tendono, inoltre, ad ostacolare il passaggio ad abitudini più sane, spesso anche più costose. L’OMS ricorda come un circolo vizioso leghi strettamente le malattie croniche alla povertà; queste malattie, infatti, possono portare individui e famiglie alla povertà creando una spirale negativa di malattia e indigenza. Anche nei Paesi ad alto reddito sono le classi più povere ad avere l’assistenza e gli esiti peggiori. Anche quando esista un servizio sanitario universalistico ed equo, sono le persone di classe socio-economica più alta ad utilizzare al meglio tale offerta.

 

 

È noto che i principali indicatori di stato di salute generale (mortalità, attesa di vita) delle popolazioni europee ed occidentali siano in continuo miglioramento; che questo fenomeno virtuoso sia distribuito eterogeneamente nella popolazione, differenziandosi per livello sociale, è un dato meno conosciuto. Il miglioramento delle condizioni di vita per tutti gli strati sociali non ha condotto ad una riduzione delle diseguaglianze di salute. Ricerche svolte in diversi Paesi hanno rilevato come il miglioramento generale dello stato di salute nelle classi sociali più svantaggiate risulti di entità minore rispetto a quello delle classi sociali più elevate, con conseguente accentuazione delle diseguaglianze (2). Come recentemente riportato dalla Commissione delle Comunità Europee, "ci sono grandi differenze sanitarie tra i gruppi sociali definiti sulla base del reddito, dell’occupazione, del livello di istruzione o del gruppo etnico in tutti gli Stati membri. Le persone con livelli inferiori di istruzione, di reddito, o di occupazione vivono meno a lungo e sono in condizioni sanitarie peggiori per un maggior numero di anni" (3). Le disuguaglianze di salute sono correlate a differenziali sociali nei determinanti della salute, tra cui le condizioni di vita, i comportamenti, le condizioni di lavoro, l’istruzione, l’accesso alle cure.

 

Tutto ciò si traduce in un marcato gradiente sociale correlato alla salute che è stato documentato per un grande numero di patologie croniche, tra cui il diabete, in diversi Paesi occidentali (4).

 

Il diabete di tipo 2 è un esempio paradigmatico di malattia cronica, in parte evitabile, che colpisce soprattutto le classi economicamente e socialmente più svantaggiate, chiamando in causa fattori legati al contesto politico e socioeconomico, alle condizioni di vita e lavoro, a fattori psicosociali (4-6). Nel mondo globalizzato delle abitudini alimentari e comportamentali, si sta assistendo ad una crescente diffusione di obesità e diabete che coinvolge sia i Paesi economicamente sviluppati sia quelli in via di sviluppo. In questo contesto è particolarmente rilevante la diffusione dell’obesità infantile che interessa principalmente le famiglie socialmente deprivate (7).

 

Uno studio che ha analizzato i dati provenienti da survey nazionali svolte in otto Paesi europei ha stimato un rischio di diabete nelle persone meno istruite mediamente superiore del 60%, con un’alta variabilità tra Paesi (dal 16% della Danimarca al 99% della Spagna) (4). L’Alameda County Study (8) ha mostrato una prevalenza di diabete di tipo 2 del 4,5%, 2,5% e 1,6% tra chi aveva, rispettivamente, bassa, media, e alta istruzione. Il Third National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) (9) ha riportato un maggior rischio di diabete nei gruppi a basso reddito, con un’associazione più forte fra le donne. Anche in Italia, le persone meno istruite (senza titolo di studio o con licenza elementare) hanno una maggiore probabilità di essere affette da diabete rispetto a chi possiede un’istruzione più elevata, con un eccesso di rischio stimato pari a circa il 60% (10). Secondo i dati del sistema di sorveglianza PASSI, nel 2008 la prevalenza di diabete era 2,1% nelle persone laureate rispetto al 14,1% nelle persone senza titolo di studio. Inoltre, le persone con diabete socialmente deprivate si accentuato dalla difficoltà nell'accesso ai servizi sanitari, nel seguire le terapie adeguate e nell'autogestione della malattia con evidenti conseguenze sulla prognosi della malattia (11). Numerosi sono gli studi che documentano l’associazione tra deprivazione socio-economica e inadeguato controllo metabolico, con una maggiore frequenza di complicanze micro e macrovascolari nelle classi sociali più svantaggiate. In uno studio inglese di prevalenza è risultato che le persone socio-economicamente svantaggiate hanno un rischio di circa quattro volte superiore di essere affette da patologia cardiaca o neuropatia e di nove volte superiore di avere una retinopatia diabetica rispetto alle classi di livello socio-economico più alto. I risultati di un recente studio, condotto dalla Commissione regionale per l’assistenza diabetologica del Piemonte (12), mostrano come i diabetici con un titolo pari alla licenza elementare riportino un rischio di subire un ricovero in emergenza o non programmato superiore del 90% rispetto ai laureati (al netto di alcuni fattori di rischio diversamente distribuiti tra i due gruppi).

 

I risultati dello studio QUADRI (13), condotto nel 2004 su un campione di diabetici italiani di età 18-64 anni, ha mostrato che la prevalenza di complicanze associate al diabete aumenta negli uomini disoccupati rispetto agli occupati (OR di avere una complicanza: 1,4 IC 95%1,1-1,8) e nelle donne con basso titolo di studio rispetto a quelle con diploma superiore o laureate (OR di avere una complicanza: 2,0 IC 95%1,5-2,7).

 

La maggiore prevalenza della malattia e la sua peggiore gestione si traducono in una maggiore mortalità per diabete nelle persone socialmente vulnerabili: a Torino, nel periodo 2004-08, il tasso standardizzato di mortalità per diabete nelle persone con basso livello di istruzione è risultato 26/100.000, rispetto a 16/100.000 nelle persone con alto titolo di studio.

 

Propedeutica all’attuazione di qualsiasi intervento mirato alla promozione di equità, è l’adozione di un modello assistenziale in grado di assicurare maggiore efficienza, flessibilità ed equità del sistema. A tali fini, l’OMS suggerisce l’adozione di modelli organizzativi di assistenza basati sulla gestione integrata della malattia. Tali modelli risultano sostenibili anche nei Paesi a basso reddito, e vengono ritenuti efficaci nel migliorare la qualità della cura delle persone con diabete e nel prevenirne le complicanze, riducendo nel contempo le disuguaglianze. Secondo l’OMS per attuare un intervento di questo tipo è fondamentale: disporre di linee guida basate su prove di efficacia e promuovere un’assistenza multidisciplinare; avere a disposizione sistemi informativi sostenibili e ben integrati sul territorio che incoraggino non solo la comunicazione tra medici ma anche tra medici e pazienti per ottenere un’assistenza coordinata e a lungo termine; promuovere l’autogestione dei pazienti quale componente essenziale dell’assistenza ai malati cronici.

 

In questa direzione si sono mossi l'Istituto Superiore di Sanità e il Centro Nazionale per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie (CCM) che, a partire dal 2006, hanno predisposto il progetto IGEA (Integrazione, Gestione E Assistenza per la malattia diabetica) che ha realizzato un insieme di azioni e strumenti volti a promuovere la gestione integrata per il diabete in Italia. In particolare: è stata definita una linea guida sui requisiti clinico-organizzativi per la gestione integrata del diabete mellito di tipo 2 nell’adulto; è stato realizzato un documento di indirizzo sui requisiti informativi per un sistema di gestione integrata del diabete, corredato da un set di indicatori idonei a misurare il grado di realizzazione del programma e la sua efficacia; è stato realizzato un piano nazionale di formazione quale condizione necessaria per l’avvio della gestione integrata del diabete nelle regioni italiane.

 

Maggiori informazioni sul progetto IGEA si possono trovare sul sito www.epicentro.iss.it/igea

 

Riferimenti bibliografici

1. World Health Organization. Preventing chronic disease a vital investment. WHO global Report. Geneva, 2005. Disponibile all'indirizzo: www.who.int/chp/chronic_disease_report (edizione italiana).

2. Mackenbach JP, Bos V, Andersen O, et al. Widening socioeconomic inequalities in mortality in six Western European countries. Int J Epidemiol 2003;32: 830-7.

3. Disponibile all'indirizzo: ec.europa.eu/ health/ph_determinants/socio_economics/ documents/com2009_iasum_ it.pdf

4. Espelt A, Borrell C, Roskam AJ, et al. Socioeconomic inequalities in diabetes mellitus across Europe at the beginning of the 21st century. Diabetologia 2008;51:1971-9.

5. Metcalf PA, Scragg RR, Schaaf D, et al. Comparison of different markers of socioeconomic status with cardiovascular disease and diabetes risk factors in the diabetes, heart and health survey. N Z Med J 2008;121(1269):45-56.

6. Wallach JB, Rey MJ. A socioeconomic analysis of obesity and diabetes in New York City. Prev Chronic Dis 2009;6(3):A108.

7. Lieb DC, Snow RE, DeBoer MD. Socioeconomic factors in the development of childhood obesity and diabetes. Clin Sports Med 2009;28(3):349-78.

8. Berkman LF, Breslow L. Health and ways of living: the Alameda County Study. New York: Oxford University Press; 1983.

9. Robbins JM, Vaccarino V, Zhang H, et al. Socioeconomic status and type 2 diabetes in African Americans and non- Hispanic white women and men: evidence from the Third National Health and Nutrition Examination Survey. Am J of Public Health 2001; 91:76-83.

10. Gnavi R, Karaghiosoff L, Costa G, et al. Socio-economic differences in the prevalence of diabetes in Italy: the population-based Turin study. Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases 2008;18(10):678-82.

11. Brown AF, Ettner SL, Piette J, et al. Socioeconomic position and health among persons with diabetes mellitus: a conceptual framework and review of the literature. Epidemiologic review 2004;26:63-77.

12. Giorda CB, Petrelli A, Gnavi R, et al. The impact of second-level specialized care on hospitalization in persons with diabetes: a multilevel population-based study. Diabetic Medicine 2006;23:377- 83.

13. Aprile V, Baldissera S, D’Argenzio A, et al. Risultati nazionali dello studio QUADRI (QUalità dell’Assistenza alle persone con Diabete nelle Regioni Italiane). Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2007 (Rapporti ISTISAN, 07/10).