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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Livello di educazione e andamento temporale dei fattori di rischio cardiovascolari tra il 1998 e il 2008 nella popolazione adulta italiana

Luigi Palmieri1, Chiara Donfrancesco1, Cinzia Lo Noce1, Francesco Dima1, Diego Vanuzzo2, Lorenza Pilotto2 e Simona Giampaoli1

1Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma

2Centro di Prevenzione Cardiovascolare, ASS 4 “Medio Friuli”, Udine

 

La mortalità per cardiopatia corona-rica ha subito notevoli cambiamenti durante la seconda metà del XX secolo. Dopo un incremento durato fino alla metà degli anni ’70, si è verificato un lento e continuo decremento, che è ancora oggi in corso. Questo declino non è facilmente spiegabile, ma alcuni risultati emersi da una recente analisi sono suggestivi (Figura): nel 2000 si sono verificati 42.927 decessi per cardiopatia coronarica in meno rispetto al 1980 (1). Tale riduzione è spiegata per il 40% dai trattamenti farmacologici, in particolare un 4,9% dovuto al trattamento in fase acuta dell’infarto del miocardio, un 6,1% per i trattamenti in prevenzione secondaria, un 13% per il trattamento farmacologico dello scompenso cardiaco, un 8,7% per il trattamento dell’angina; il fatto che alcuni trattamenti, quali le statine in prevenzione secondaria, il bypass e l’angioplastica, abbiano così scarso impatto è dovuto al fatto che fino ai primi anni 2000 non erano applicati su larga scala (1). Ciò che colpisce è che il 55% della riduzione della mortalità coronarica in Italia tra il 1980 ed il 2000 sia dovuto alla variazione dei fattori di rischio nella popolazione: a fronte di un contributo negativo di obesità e diabete (3% complessivo), gli altri principali fattori di rischio cardiovascolare sono migliorati nella popolazione adulta italiana. La riduzione dell’abitudine al fumo, principalmente dovuto agli uomini, ha ridotto del 4% la mortalità coronarica e l’aumento dell’attività fisica del 6%; i contributi principali sono derivati dalla riduzione della colesterolemia nella popolazione (contributo del 23%) e della pressione arteriosa (25%) a livello di popolazione (1). Probabilmente il livello di entrambi questi fattori è diventato simile su tutta l’Italia, a discapito di quelle regioni che partivano da valori più bassi e a favore di quelle regioni che partivano da valori più alti.

 

In anni recenti si è parlato spesso di un incremento dell’obesità nella popolazione generale, da molti visto in relazione alla modificazione di alcuni stili di vita, in particolare della riduzione dell'abitudine al fumo. Purtroppo non è facile valutare l’andamento di questi fattori e il loro contributo sull’andamento delle malattie cardiovascolari, perché condizione essenziale per farlo è quella di raccogliere dati su fattori di rischio e malattie applicando metodologie comuni e standardizzate, in modo che misure fatte in tempi diversi siano confrontabili. Questa possibilità ci è data grazie alla disponibilità dei dati raccolti attraverso l’Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare/Health Examination Survey che sta esaminando, a 10 anni di distanza dal primo esame (1998-2008), un campione rappresentativo della popolazione italiana (2, 3). I dati preliminari qui presentati si riferiscono a nove regioni: cinque sono al Sud (Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata, Molise), due al Nord (Piemonte, Friuli-Venezia Giulia) e due al Centro (Emilia-Romagna e Lazio) e vengono confrontati con quelli raccolti nelle stesse regioni 10 anni prima (4, 5): in totale 1.912 uomini e 1.870 donne esaminati nel 1998 e 1.738 uomini e 1.741 donne esaminati nel 2008, distribuiti uniformemente su quattro decadi di età (35-74 anni) in due diversi livelli socioeconomici (elementari e medie inferiori-medie superiori e laurea). Per quanto il livello di scolarità possa non cogliere alcune condizioni sociali in grado di influenzare il rischio cardiovascolare, come l’occupazione, tuttavia dà un’indicazione di quello che sta accadendo nella popolazione con livello culturale meno elevato.

 

 

La Tabella riporta il confronto delle condizioni a rischio tra i due livelli socioeconomici diversi, considerando uomini e donne insieme (3). I risultati confermano che il livello socioeconomico più basso è quello che risente di più della condizione di disagio: nei 10 anni trascorsi tra le due osservazioni aumenta di molto l’obesità (dal 26% passa al 32%), il diabete non aumenta in modo significativo, ma la sua prevalenza era già molto alta nel 1998 (15%), aumenta la prevalenza della sindrome metabolica (dal 28% al 33%), mentre la prevalenza dei fumatori rimane sostanzialmente stabile rispetto al 1998 (dal 25% al 23%). Ciò significa che gran parte degli sforzi fatti in questi anni per implementare la prevenzione non sono arrivati dove maggiore era la necessità. Strategie di prevenzione comunitaria devono avere l’obiettivo di ridurre l’obesità e l’abitudine al fumo nelle famiglie a basso livello socioeconomico per il beneficio che ne può derivare sia a breve che a lungo termine, tanto nei confronti delle malattie cardiovascolari quanto delle altre patologie cronico-degenerative e che può influenzare la salute delle nuove generazioni.

 

L’aumento dell'obesità preoccupa non poco coloro che si interessano di salute pubblica, in quanto in un recente report della Commissione Europea (6) viene riportato che più di 1 milione di morti per anno e circa il 7% del costo per le cure mediche della regione europea sono attribuibili all'obesità; il DALY (disability adjusted life years), cioè gli anni di disabilità dovuti all’obesità, è stimato intorno al 3,7%. Si calcola che un programma comunitario per contrastare l’obesità potrebbe far guadagnare nel DALY circa il 9,6%.

 

Un ultimo punto di notevole interesse è l’aumento della prevalenza delle persone con pressione arteriosa inferiore a 140 e 90 mmHg sia negli uomini che nelle donne in generale ed in modo significativo in entrambi i livelli di istruzione (3); ciò risulta essere una chiara indicazione che negli ultimi 10 anni la pressione media è diminuita nella popolazione italiana, sicuramente in parte grazie alle azioni di prevenzione intraprese.

 

Riferimenti bibliografici

1. Palmieri L, Bennett K, Giampaoli S, et al. Explaining the decrease in coronary heart disease mortality in Italy between 1980 and 2000. American Journal of Public Health 2009; 99(9):1-9.

2. Vanuzzo D, Lo Noce C, Pilotto L, et al. Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare Italiano 2008-2011, primi risultati. G Ital Cardiol 2010;11(5, suppl. 3):25S-30S.

3. Palmieri L, Lo Noce C, Vanuzzo D, et al. Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare Italiano: andamento temporale dei fattori di rischio cardiovascolari. G Ital Cardiol 2010;11(5, suppl. 3):31S-6S.

4. Giampaoli S, Vanuzzo D. Atlante italiano delle malattie cardiovascolari. Ital Heart J 2003;4(suppl. 4):1-122.

5. Giampaoli S, Vanuzzo D. Atlante italiano delle malattie cardiovascolari. II edizione 2004. Ital Heart J 2004;5(suppl. 3):1-101.

6. www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0010/74746/E90711.pdf