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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Indice: Boll Epidemiol Naz 2022;3(2)

La salute perinatale in Italia: i dati del Programma Nazionale Esiti (anni 2015-2020)

Chiara Mencancinia, Alice Maraschinib, Barbara Giordania, Fulvia Seccarecciac, Marina Davolid, Serena Donatie, Giovanni Baglioa per il Gruppo di lavoro PNE sugli indicatori perinatali*

 

 

aUOC Ricerca, PNE, Rapporti Internazionali, Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, Roma

bServizio Tecnico Scientifico di Statistica, Istituto Superiore di Sanità, Roma

cCentro Nazionale Salute Globale, Istituto Superiore di Sanità, Roma

dDirezione DEP - UOC Clinica, Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio, Roma

eCentro Nazionale per la Prevenzione delle malattie e la Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma

 

 

Citare come segue: Mencancini C, Maraschini A, Giordani B, Seccareccia F, Davoli M, Donati S, Baglio G per il Gruppo di lavoro PNE sugli indicatori perinatali. La salute perinatale in Italia: i dati del Programma Nazionale Esiti (anni 2015-2020). Boll Epidemiol Naz 2022;3(2):38-45. DOI: https://doi.org/10.53225/BEN_046

 

 

Perinatal health in Italy: data from the National Outcomes Evaluation Programme (years 2015-2020)

Introduction

For several years now, the National Outcomes Evaluation Programme (in Italian Programma Nazionale Esiti, PNE) has been studying aspects of reproductive health care, with particular attention to the quality and appropriateness of health care in the Italian obstetric wards. The use of PNE indicators for the period 2015-2020 allowed to describe the care activity in the perinatal area, including a focus on foreign women resident in Italy.

 

Materials and methods

For the present analysis, of the 7 indicators relating to the perinatal area, 2 indicators of the volume of hospitalisations for delivery and for delivery with caesarean section (CS), and 3 process indicators (proportion of primary CS; proportion of vaginal births after caesarean, VBAC; proportion of episiotomies in vaginal deliveries) were considered by using information from the Hospital Information System. A risk adjustment model on patients' comorbidities was implemented for the results, and ratio measurements for citizenship were produced.

 

Results

In Italy, the number of hospitalisations for birth has progressively decreased over time, from 484,743 in 2015 to 404,145 in 2020. At the same time, there was a decrease in the use of primary CS (from 25.1% in 2015 to 22.7% in 2020), as well as in the proportion of episiotomies in vaginal deliveries (from 24.0% to 13.8%), with a wide variation between regions and a strong North-South gradient. In the same period, the proportion of VBAC has increased slightly from 8.4% to 10.5%. Finally, it emerges that immigrant women have a lower recourse to CS than Italians, but when subjected to CS, they have a significantly higher risk of readmission during puerperium.

 

Discussion and conclusions

The analysis based on perinatal indicators of the PNE shows the presence of criticalities in childbirth care, due to the excessive use of procedures at high risk of inappropriateness such as CS and episiotomy. Moreover, the low proportion of vaginal deliveries after CS, the higher risk of readmission after CS for immigrant women, and the persistence of a wide inter- and intra-regional variability suggest ample room for improvement in care processes.

 

Key words: perinatal health; delivery; vaginal delivery; caesarean section; episiotomy; migrant women

 

Introduzione

Dal 2012 l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), su mandato del Ministero della Salute e in collaborazione con il Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio (DEP) e con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), coordina il Programma Nazionale Esiti (PNE) (1) che, fra i diversi aspetti considerati, include anche quelli relativi alla salute perinatale, con particolare riferimento alla qualità e all’appropriatezza dell’assistenza sanitaria offerta nei punti nascita (PN) italiani. Nell’aprile 2021 è stato istituito un gruppo di lavoro multiprofessionale composto da epidemiologi, clinici, statistici esperti di salute perinatale e rappresentanti delle Regioni, con l’obiettivo di consolidare e ampliare il set di indicatori di area perinatale e realizzare attività di ricerca utilizzando i flussi sanitari correnti.

 

Dei 184 indicatori attualmente calcolati nell’ambito del PNE, sette riguardano l’area perinatale: due indicatori di volume (numero complessivo di parti; numero di parti con taglio cesareo, TC); tre indicatori di processo (proporzione di parti con TC primario; proporzione di parti vaginali in donne con pregresso TC, vaginal birth after caesarean, VBAC; proporzione di episiotomie nei parti vaginali, quest’ultima analizzata attraverso un nuovo indicatore sviluppato dal sopracitato Gruppo di lavoro) e due indicatori di esito (riammissioni ospedaliere a 42 giorni da un ricovero per parto vaginale e per parto con TC). Ciascun indicatore permette di esplorare, a livello di singolo PN e al netto del confondimento derivante dai diversi livelli di rischio clinicoostetrico delle donne ricoverate, aspetti assistenziali meritevoli di attenzione per i quali sussistono criticità suscettibili di miglioramento, e di rilevarne l’andamento nel tempo.

 

Rispetto all’appropriatezza del ricorso al TC, nel 1985 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), basandosi su evidenze scientifiche, ha concluso che proporzioni superiori al 10-15% a livello di popolazione non sono associate a una riduzione del tasso di mortalità materna e infantile (2); una successiva revisione sistematica di un gruppo di esperti dell’OMS ha fornito ulteriori raccomandazioni a sostegno di queste evidenze (3). In Italia, il Decreto Ministeriale (DM) 70/2015 ha fissato la quota massima di tagli cesarei primari al 25% per le maternità con più di 1.000 parti annui e al 15% per quelle con volumi inferiori; riprendendo l’Accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010 ha fissato, inoltre, in 1.000 nascite/anno il parametro standard cui tendere e in 500 nascite/anno la soglia minima per il mantenimento di PN sulla base di comprovate motivazioni legate alle specificità dei contesti.

 

Nonostante gli sforzi compiuti in questi anni (1), il nostro Paese resta tra quelli con più alto ricorso al TC in Europa (4) e con ampia variabilità interregionale, segno questo della permanenza in molti PN di condizioni di inappropriatezza nella pratica clinica, associate al rischio di ricadute negative sugli esiti materni e perinatali. Vi sono infatti consolidate evidenze sulle possibili complicanze a breve e lungo termine in caso di TC senza appropriata indicazione medica (5-7), e anche i dati dei flussi nazionali e quelli dell’Italian Obstetric Surveillance System (ItOSS) rilevano una maggiore morbosità e mortalità materna nelle realtà con proporzione di TC superiore alla media nazionale (8, 9).

 

Anche sul versante dell’assistenza al parto vaginale, si evidenzia ancora oggi in Italia un ingiustificato ricorso alle episiotomie, nonostante le evidenze provenienti da studi clinici controllati randomizzati abbiano dimostrato che la loro riduzione si associa a minore incidenza di traumi perineali e complicazioni materne (10).

 

Infine, un aspetto importante della valutazione in area perinatale è rappresentato dalle disuguaglianze nell’accesso ai servizi e negli esiti di salute tra gruppi di popolazione. Nell’edizione PNE 2021, particolare attenzione è stata riservata all’analisi per cittadinanza, dal momento che la popolazione immigrata costituisce a tutt’oggi una delle fasce più vulnerabili, in ragione della maggiore esposizione ai fattori di rischio associati alle condizioni di povertà e marginalità sociale. In Italia, secondo i dati dell’Istat, gli stranieri residenti nel 2020 erano 5.039.637, pari all’8,4% del totale dei residenti e in leggera crescita rispetto all’anno precedente (+ 0,9%) (11).

 

L’obiettivo del presente studio consiste nel descrivere i risultati derivanti dall’analisi di alcuni degli indicatori PNE in area perinatale, relativamente all’anno 2020 e al trend 2015-2019, includendo anche un focus sulle donne straniere residenti nel Paese.

 

Materiali e metodi

Nel presente lavoro, i dati fanno riferimento all’attività ospedaliera erogata nell’anno 2020 da ospedali pubblici e privati (accreditati e non), e a quella del quinquennio precedente (anni 2015- 2019) per la ricostruzione dei trend temporali. Sono stati considerati, in particolare, i due indicatori di volume e i tre indicatori di processo descritti in Tabella 1.

 

 

La fonte informativa è rappresentata dal Sistema Informativo Ospedaliero e per il calcolo degli indicatori è stato utilizzato un dettagliato protocollo operativo disponibile sul sito istituzionale del PNE (1).

 

Le proporzioni sono state aggiustate per età e presenza di comorbosità, sia pregresse che al momento del ricovero per parto, nonché per i potenziali determinanti clinici del TC, attraverso l’utilizzo di modelli di risk adjustment, in modo da analizzare le differenze tra strutture in cui è avvenuto il parto e tra aree di residenza delle donne al netto del confondimento derivante dalle diverse condizioni cliniche all’ammissione.

 

La distribuzione del numero di parti è stata corredata da un’analisi per PN, ai fini della verifica delle indicazioni fornite dal DM 70/2015 e della potenziale frammentazione della casistica sul territorio nazionale per l’anno 2020.

 

Per l’analisi degli indicatori di processo vengono utilizzate delle mappe per rappresentare i tassi aggiustati per area territoriale (ASL o province). Per il dettaglio delle aree territoriali per Regione si rimanda all’Appendice 2 del Report PNE - edizione 2021, disponibile online (1). Per la determinazione degli intervalli riportati nella legenda della Figura 2 è stato utilizzato il metodo dei Natural breaks (Jenks), che permette di minimizzare la varianza entro le classi e massimizzare quella tra le classi. È stata inoltre eseguita un’analisi comparativa regionale per l’anno 2020 utilizzando le mediane delle proporzioni aggiustate delle strutture di ciascuna Regione.

 

Il focus sulle donne immigrate ha riguardato la proporzione di parti con TC primario e le riammissioni ospedaliere a 42 giorni da un ricovero per parto con TC. Lo status di immigrata si è basato sulla variabile cittadinanza, classificata secondo le seguenti due modalità:

  • cittadine provenienti da Paesi a Forte Pressione Migratoria (PFPM): africani; America Centromeridionale; Asia (a esclusione del Giappone e di Israele); Oceania (a esclusione di Australia e Nuova Zelanda); Paesi di nuova adesione all’Unione Europea (UE) entrati a partire dal 2004 (a esclusione di Malta e Cipro) e in particolare Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Bulgaria, Romania, Croazia e tutti i restanti Paesi dell’Europa orientale non inclusi nei Paesi di nuova adesione all’UE;
  • cittadine provenienti da Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA): Andorra, Australia, Austria, Belgio, Canada, Città del Vaticano, Corea del Sud, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Portogallo, Principato di Monaco, Regno Unito, San Marino, Spagna, Svezia, Svizzera, USA. Sono incluse, quindi, anche le cittadine italiane, categoria di riferimento per il calcolo delle misure di associazione.

Risultati

In Italia, il numero di ricoveri per parto si è progressivamente ridotto nel corso del tempo (Figura 1), passando da 484.743 nel 2015 a 417.144 nel 2019 (-13,9% nel quinquennio). Tale tendenza non ha mostrato significative variazioni nel 2020, anno in cui sono stati rilevati 404.145 ricoveri, pari a 13.000 in meno rispetto al 2019 (-3,1%). Contestualmente, si osserva anche un progressivo calo del numero di parti con TC.

 

 

Nel 2020, la maggior parte dei ricoveri (il 63% della casistica nazionale) si è concentrata nei PN con oltre 1.000 parti/anno, mentre nelle strutture che non superano la soglia dei 500 parti/anno i ricoveri si sono attestati intorno al 7%. Il 16% delle strutture con volume al di sotto delle 500 nascite/ anno si concentra nel Lazio, il 12% in Campania e il 10% in Sicilia e in Lombardia.

 

Contestualmente alla contrazione dei ricoveri per parto, si è osservata una diminuzione nell’utilizzo della pratica del TC a livello nazionale: la proporzione di parti con TC primario è passata dal 25,1% nel 2015 al 22,7% nel 2020. A fronte di tale riduzione, si è assistito nel medesimo periodo a un aumento nella proporzione di parti vaginali in donne con pregresso TC, sebbene in modo contenuto: dall’8,4% nel 2015 al 10,5% nel 2020. Infine, per quanto riguarda la pratica delle episiotomie, negli ultimi anni è emerso un calo della proporzione della procedura nei parti vaginali, che è passata dal 24,0% nel 2015 al 13,8% nel 2020 (Tabella 2).

 

 

Nel 2020 persiste, rispetto agli anni precedenti, un’elevata variabilità regionale della proporzione di parti con TC primario, con uno spiccato gradiente Nord-Sud (Figura 2A): molte aree territoriali in Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna hanno fatto registrare valori prossimi al 30%, con strutture che raggiungono anche il 60% di TC primari, mentre la maggior parte delle province di Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige ed Emilia-Romagna ha mostrato proporzioni inferiori al 20%. I valori della proporzione di parti vaginali in donne con pregresso TC differiscono su base regionale, mostrando un marcato gradiente Nord- Sud, con tassi aggiustati superiori al 20% in molte aree del Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto, e valori al di sotto del 5% in molte aree delle Regioni del Centro-Sud (Figura 2B).

 

 

Anche per la pratica delle episiotomie, la proporzione si distribuisce in modo eterogeneo nel territorio italiano, con valori che superano il 20% nelle aree delle Regioni del Centro-Sud, e si mantengono al di sotto del 2% in Emilia-Romagna, mostrando un forte gradiente geografico Nord-Sud (Figura 2C). Anche l’eterogeneità tra le strutture è profondamente marcata, con proporzioni aggiustate che variano dallo 0,2% al 99,9% (dato non mostrato).

 

La disomogeneità a livello regionale risulta ancor più evidente se si considera la relazione tra i tre indicatori di processo descritti (Figura 3). Gran parte delle Regioni del Sud e la Regione Lazio si posizionano nel quadrante caratterizzato da un alto ricorso al TC primario, con valori superiori alla mediana nazionale, una bassa proporzione di VBAC, con valori al di sotto del 10% (IV quadrante), e alte proporzioni di episiotomie, con valori mediani in linea o superiori rispetto alla mediana nazionale. Per contro, gran parte delle Regioni del Centro-Nord riporta basse proporzioni di TC primario, con valori inferiori rispetto alla mediana nazionale, alte proporzioni di VBAC, con valori mediani oltre il 20% (II quadrante), e un più basso riscorso alla pratica chirurgica dell’episiotomia.

 

 

Un ultimo aspetto riguarda l’analisi delle differenze nell’assistenza perinatale in base alla cittadinanza delle donne: si assiste alla presenza di significative differenze a carico delle donne da PFPM (immigrate) rispetto alle donne da PSA, incluse quindi le italiane. I risultati, sintetizzati nella Figura 4, mostrano un ricorso al TC primario significativamente minore per le donne da PFPM in quasi tutte le Regioni italiane. Per contro, emerge un rischio di riammissione durante il puerperio significativamente più elevato per le immigrate che siano state previamente sottoposte a un TC rispetto alle italiane/PSA. Tali differenze permangono anche dopo stratificazione per tipologia di struttura pubblica o privata (dati non mostrati).

 

 

Discussione e conclusioni

La costante diminuzione delle nascite, in coerenza con il trend mostrato nel Certificato di assistenza al parto (CeDAP) (12), sostiene l’ipotesi che la riduzione dei parti non sia un fenomeno temporaneo e che potrebbe anche accentuarsi in futuro. Benché il DM 70/2015 abbia fissato chiari riferimenti per il mantenimento dei PN, salvo comprovate motivazioni oro-geografiche, a distanza di oltre 10 anni dall’Accordo Stato-Regioni gli standard non sono stati ancora raggiunti. Nel 2020, i PN sotto la soglia dei 500 parti annui hanno infatti assistito il 6,8% dei parti, senza grandi variazioni rispetto al 2019. Nascere in grandi ospedali è protettivo in caso di complicazioni ostetriche, che sono invece più frequenti negli ospedali a basso volume di attività (13). I professionisti che assistono un numero ridotto di parti annui registrano una maggiore frequenza di complicazioni rispetto a quelli con alti volumi di attività (14). Una revisione sistematica di letteratura pubblicata su JAMA nel 2010 ha rilevato, inoltre, che la centralizzazione delle nascite migliora la salute neonatale nei nati di peso molto basso e gravemente pretermine (15). Anche in Italia si rileva una minore appropriatezza assistenziale nei PN con bassi volumi di parti dove, pur se vengono assistite gravidanze a basso rischio, si eseguono proporzioni di TC eccessive senza garanzia di migliori esiti di salute materni e perinatali (1).

 

A livello globale, vi è consenso unanime nel ritenere che in casi di emergenza il TC sia una pratica salvavita per madri e neonati, e che tale pratica vada eseguita solo in presenza di indicazioni cliniche. In Italia, la proporzione di TC primario è diminuita notevolmente rispetto ai tassi dei primi anni Duemila, quando si attestava intorno al 40% (7). Tuttavia, sono pochi i PN che rispettano gli standard previsti dal DM 70/2015: nel 2020, se si escludono dalle analisi i PN con meno di 500 parti/anno, solo il 10% dei PN con volumi inferiori ai 1.000 parti e il 63% di quelli con volumi superiori a 1.000 presentano proporzioni in linea con gli standard (1). La riduzione dei TC primari rappresenta la strada maestra per il contenimento complessivo del fenomeno, cui si affianca la possibilità di ridurre il TC ripetuto nelle donne già cesarizzate proponendo loro un travaglio di prova, in assenza di controindicazioni. Il PNE ha adottato appositamente l’indicatore del VBAC per monitorare l’andamento di tale pratica, che tuttavia stenta ad affermarsi: dal 2015 al 2020 in Italia si è registrato un aumento di soli due punti percentuali (10,5% nel 2020 rispetto all’8,4% nel 2015). La grande variabilità rilevata tra le Regioni e tra i singoli PN evidenzia come le aree geografiche in cui il ricorso al TC è maggiore siano le stesse in cui la proporzione di VBAC è più bassa. Le analisi descrivono chiaramente come nelle Regioni meridionali il VBAC non rientri nella pratica ostetrica corrente, mentre in alcune Regioni del Centro-Nord sia oramai una pratica consolidata.

 

Analogamente, la forte variabilità nel ricorso all’episiotomia rilevata tra Regioni e tra PN conferma modalità assistenziali diversificate, non solo per quanto concerne il ricorso al TC, ma anche nell’assistenza al parto vaginale. Le indagini campionarie sul percorso nascita, coordinate periodicamente dall’ISS in Italia a partire dagli anni ‘90, hanno registrato una diminuzione nel ricorso all’episiotomia: dal 69% dei parti vaginali nel 2002 al 42% nel 2010-2011 (16). L’indicatore registra nel 2020 a livello regionale valori mediani che variano dall'1,4% della Valle d'Aosta a oltre il 30% della Sicilia, e in molti PN continua a rappresentare una pratica troppo frequente rispetto a quanto raccomandato. Non esistono motivi clinici a giustificazione di tale variabilità, che può essere letta esclusivamente quale indizio di inappropriatezza, dal momento che il ricorso all’episiotomia di routine è associato a un aumento del rischio di perdita ematica post partum, di infezione e deiscenza della ferita, di risultati estetici insoddisfacenti e di lacerazioni perineali gravi nei parti successivi (17, 18). Per questi motivi, la linea guida del National Institute for Health and Care Excellence Intrapartum care for healthy women and babies e le linee guida dell’OMS Intrapartum care for a positive childbirth experience raccomandano di non praticare l’episiotomia di routine, ma di ricorrervi solo in caso di necessità (19, 20).

 

La lettura sinottica dei tre precedenti indicatori, descritta graficamente nella Figura 3, restituisce un quadro di correlazioni sistematiche che amplificano la portata della maggiore inappropriatezza dell’assistenza al parto nelle Regioni del Sud. Questa valutazione, pur presentando dei limiti legati alla multifattorialità delle condizioni in studio e alle criticità derivanti dalla completezza e affidabilità dei dati delle schede di dimissione ospedaliera, sembra tuttavia descrivere in maniera sintetica e suggestiva la complessità delle correlazioni in studio e confermare opportunità di miglioramento, specie nelle Regioni del Sud.

 

Le differenze rilevate nelle analisi in base alla cittadinanza delle donne sono meritevoli di riflessione. Sebbene il ricorso al TC primario sia significativamente meno frequente tra le cittadine dei PFPM rispetto alle italiane e alle straniere provenienti da PSA, quando le prime effettuano un TC il loro rischio di riammissione ospedaliera durante il puerperio è maggiore rispetto alle altre (Figura 4). L’osservazione rimanda alle condizioni di minore tutela in cui le donne immigrate si trovano spesso a vivere a causa di deprivazione socioeconomica, mancanza di supporto familiare, barriere linguistiche e culturali e rientro anticipato al lavoro, che le espongono a un maggior rischio di complicanze ed esiti negativi per la salute (21, 22). Nonostante la legge italiana preveda l’accesso all’assistenza gratuita in gravidanza e al parto per tutte le donne straniere, il periodo perinatale continua a rappresentare un momento di vulnerabilità di cui le politiche di accesso ai servizi sociali e sanitari devono tener conto, visto che in Italia il fenomeno migratorio rappresenta da tempo un elemento strutturale della società (23-25).

 

In conclusione, gli indicatori PNE di area perinatale permettono di analizzare quelle che sono le differenze tra strutture/aree territoriali al netto del confondimento derivante dalle diverse condizioni cliniche delle donne ricoverate. I risultati del PNE consentono di individuare le situazioni di maggiore criticità nell’ambito dell’assistenza perinatale e di promuovere interventi mirati alla riduzione dell’inappropriatezza e al miglioramento dell’equità delle cure. In prospettiva, il Gruppo di lavoro PNE, in collaborazione con le Regioni, continuerà le attività di revisione e ricerca di nuovi indicatori, al fine di sviluppare analisi delle performance assistenziali sempre più approfondite, anche attraverso l’integrazione di dati amministrativi con informazioni provenienti da fonti cliniche.

 

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Finanziamento: nessuno.
Authorship: tutti gli autori hanno contribuito in modo signifi cativo alla realizzazione di questo studio nella forma sottomessa.
Riferimenti bibliografici
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(*) Componenti del Gruppo di lavoro PNE sugli indicatori perinatali

Serena Donati (coordinatore), Alice Maraschini, Stefano Rosato (Istituto Superiore di Sanità); Enrica Perrone (Regione Emilia- Romagna); Eva Papa (Provincia Autonoma di Bolzano); Antonello Antonelli, Alessandra Meloni, Agnese Prinzis (Regione Sardegna); Giovanna Fantaci, Elisa Tavormina (Regione Sicilia); Letizia Bachini, Silvia Forni (Regione Toscana); Paola Facchin, Laura Salmaso (Regione Veneto); Manila Bonciani, Barbara Lupi (Laboratorio Management e Sanità - Scuola Superiore Sant'Anna); Flavia Carle (Università Politecnica Marche); Domenico Di Lallo (Società Italiana di Neonatologia); Barbara Giordani, Chiara Mencancini, Giorgia Duranti, Elisa Guglielmi (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali); Paola Colais, Luigi Pinnarelli (Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio).

 

Data di creazione della pagina: 21 luglio 2022