Persone in condizione di grave marginalità sociosanitaria: stato di salute, esperienze di assistenza e approcci di cura
Roberto Da Cas, Cristina Morciano
Centro Nazionale per la Ricerca e la Valutazione Preclinica e Clinica dei Farmaci, Istituto Superiore di Sanità, Roma
Citare come segue: Da Cas R, Morciano C. Persone in condizione di grave marginalità sociosanitaria: stato di salute, esperienze di assistenza e approcci di cura. In: Da Cas R, Morciano C (Ed). La salute delle popolazioni in condizione di grave marginalità sociosanitaria. Boll Epidemiol Naz 2023;4(4):1-5. DOI: https://doi.org/10.53225/BEN_075
Of all the forms of inequality, injustice in health is the most shocking and the most inhuman because it often results in physical death
Martin Luther King, discorso alla Second National Convention of the Medical Committee for Human Rights (25 marzo 1966)
People experiencing considerable social exclusion: health profile, healthcare experiences and approaches to care
People experiencing considerable social exclusion such as homeless, irregular migrants, and prisoners face extreme inequity in health. The aim of this monograph is to provide health information and examples of care models for these groups of people based on data collected in clinical practice.
A notable example of social exclusion is that of the irregular migrants working in the agri-food sector in the area of Capitanata (Foggia province) and living in informal settlements. INTERSOS, a non-profit humanitarian organization, facilitates access to essential social and health services through a proximity health care, providing primary care to irregular migrants, and reaching out them within the settlements.
In large urban areas, a model of care based on medical centre offering primary care is that adopted to offer social and health care to marginalised populations. This model has been used for years in Rome and Milan by Caritas and Opera San Francesco per i Poveri, respectively; the articles describe the health profile of the assisted the groups.
Irregular migrants have difficulties in accessing the preventive and primary health care services from the National Health Service. The article of the Istituto Superiore di Sanità highlights that a small percentage of non-resident foreigners received the COVID-19 vaccination, with delays in the administration of the primary vaccination cycle.
Finally, the joint work between the Ministry of Justice and two Local Health Units (ASL Roma 2 and ASL Viterbo) analyzes drug use in five prisons in Latium Region. The study shows a high use of drugs for the pathology of central nervous and gastrointestinal systems. Variability is observed of the drug use among the five prisons.
This monograph highlights the need of formulating policies rooted in an integrated, multi-sectoral approach. Among the critical challenges, there is the need to develop an actively monitoring system of elements of health and health care provisions to people experiencing considerable social exclusion to promote evidence based informed policies, practices and research.
Key words: marginalised people; homeless; prisoners; migrants
Perché questa monografia?
In Italia, come in altri Paesi considerati ad alto reddito, le persone in condizione di grave marginalità sociosanitaria, definite anche come “esclusi”, “invisibili” o “difficili da raggiungere” (hard-to-reach) soffrono delle forme più gravi di iniquità nella salute.
L’idea di realizzare un fascicolo monografico del Bollettino epidemiologico nazionale nasce con l’intento di fornire una maggiore conoscenza sia sullo stato di salute di queste popolazioni sia sui modelli di assistenza.
Coerentemente con la mission della rivista, i contributi originali raccolti consentono di dare visibilità soprattutto a esempi virtuosi di assistenza attivi in vari ambiti territoriali, offrendo un quadro epidemiologico sulla base dei dati raccolti nella pratica clinica. È grazie a queste esperienze che siamo in grado di avvicinarci e rivelare gli invisibili presenti sui nostri territori, consapevoli che è nell’invisibilità che si realizzano le forme più gravi di ingiustizia sociale.
Chi sono le persone in grave marginalità sociosanitaria?
Come possono essere definite le popolazioni che vivono una situazione di grave marginalità sociale e qual è il loro profilo di salute? Si tratta di una categoria difficile da inquadrare all’interno di immediati schematismi, poiché queste persone sono caratterizzate da una pluralità di forme di grave marginalità sociale, spesso sovrapponentesi. Nel contesto di questo fascicolo monografico, tali popolazioni vengono definite come composte da persone socialmente ed economicamente tra le più svantaggiate: senza dimora o residenti in campi o insediamenti tollerati, che fanno uso di sostanze stupefacenti, con gravi problemi di salute mentale, migranti senza permesso di soggiorno, vittime di tratta, sex worker, e persone in stato di detenzione. Sono popolazioni che sperimentano il fenomeno dell’esclusione sociale, cioè “il processo attraverso il quale alcuni individui o gruppi sociali sono privati di risorse, diritti e opportunità per partecipare alle attività e alle relazioni che sono offerte alla maggior parte delle persone nella società” (1).
Quando si parla di individui in stato di grave marginalità, si fa riferimento anche a persone che sfuggono alle rilevazioni statistiche ufficiali, poiché richiedono modalità di rilevazione specifiche, diverse da quelle adottate per il resto della popolazione. Da segnalare il recente impegno dell’Istat in questo ambito. Nella terza edizione del Censimento permanente della Popolazione e delle Abitazioni svolta nell’autunno 2021 (2), per la prima volta sono state incluse le popolazioni particolari e difficili da raggiungere, con l’obiettivo di rivelare “alcuni target demografici che per precarietà abitativa o per particolari condizioni di vita, sono di difficile intercettazione sul territorio (…). I segmenti di popolazione specificamente rilevati sono coloro che vivono in convivenze anagrafiche (ad esempio, istituti assistenziali, centri di accoglienza per migranti, case famiglia), quelli che dimorano in campi autorizzati o insediamenti tollerati e spontanei, e le persone senza tetto e senza fissa dimora”. Con la premessa di una probabile sottostima, l’indagine ha rilevato 463.294 unità, pari allo 0,8% della popolazione totale. Di queste, 351.338 vivono in convivenze anagrafiche, 96.197 sono senza tetto/dimora, mentre 15.759 sono coloro che dimorano in campi autorizzati o insediamenti tollerati e spontanei. In particolare, il 38% delle persone senza tetto è di nazionalità straniera (50% africana, 22% europea, 17% asiatica) e la metà risiede in soli sei Comuni: 23% a Roma, 9% a Milano, 7% a Napoli, 4,6% a Torino, 3% a Genova e 3,7% a Foggia.
L’esclusione sociale come determinante di salute
È consolidata l’evidenza che le diseguaglianze di salute siano una conseguenza delle diverse condizioni socioeconomiche, delle crisi finanziarie, delle politiche economiche e sociali.
In termini semplici, le persone più abbienti e con un più alto livello di educazione godono di una salute migliore, si ammalano di meno e vivono più a lungo. Non solo, esiste un gradiente di salute che si estende lungo tutta la scala sociale: la salute peggiora gradualmente man mano che si discende dalla scala sociale, procedendo dalla fascia socioeconomica più elevata a quella più bassa.
Si aggiunge a ciò un altro elemento: il cumularsi fin dalla nascita dei fattori sociali che influenzano l’intero corso della vita, come la salute degli stessi genitori ma anche il loro reddito, l’educazione, la condizione lavorativa, la qualità dell’abitazione dove risiede la famiglia e il quartiere in cui si trova. La povertà assoluta, la mancanza delle risorse elementari per vivere sono presenti anche nei Paesi più ricchi. Alla popolazione che si viene a trovare in questa situazione è negato l’accesso a un'abitazione dignitosa, all’istruzione, ai trasporti e ad altri elementi vitali per una completa partecipazione alla vita sociale. Essere esclusi dalla vita sociale è causa di una salute peggiore e di un maggior rischio di morte prematura (3). In Italia, secondo l’Istat, il numero di persone in povertà assoluta è passato da circa 1,8 milioni nel 2008 a oltre 5,6 milioni nel 2022 (4), rendendo più urgenti politiche sanitarie mirate e inclusive per affrontare efficacemente le loro esigenze di salute.
Le evidenze generate nel corso del tempo nel settore della ricerca sulle diseguaglianze di salute, e sugli specifici interventi volti a ridurle o a eliminarle, hanno orientato la formulazione e l’implementazione di diverse politiche sociosanitarie. Tuttavia, la ricerca epidemiologica ha meno esplorato la grave esclusione sociale come determinante di salute e il grado di iniquità di salute sofferto dalle popolazioni gravemente marginalizzate nei Paesi ad alto reddito.
In un editoriale del 2018 pubblicato su Lancet (5), Michael Marmot evidenzia come il gradiente sociale non sia adatto a cogliere le diseguaglianze di salute nelle popolazioni socialmente escluse: “The social gradient in health describes a graded association between an individual’s position on the social hierarchy and health: the lower the socioeconomic position of an individual, the worse their health. (…). Different, too, are socially excluded populations. These individuals can seem to be off the scale of the social hierarchy completely, which represents a further challenge to social cohesion”.
A tal proposito, è opportuno richiamare una metanalisi (6) che per la prima volta ha incluso studi in cui veniva analizzato il dato di morbosità e mortalità in coloro che nei Paesi ad alto reddito soffrono di grave esclusione sociale, quali sex worker, detenuti, senza dimora e tossicodipendenti. I risultati indicano come su queste popolazioni classificate dagli autori come “inclusion health population of interest”, agisca un grado estremo di iniquità nella salute che eccede di molto quello osservato tra gli individui inclusi nella scala sociale, con differenze importanti tra uomini e donne. Infatti, nelle persone in condizioni di grave marginalità le stime dei tassi di mortalità per tutte le cause sono circa 8 volte superiori alla media per gli uomini e 12 volte per le donne. Invece, questo grado di iniquità è inferiore se si confrontano, ad esempio, le aree più deprivate con quelle meno deprivate di Galles e Inghilterra: la mortalità è 2,8 volte più elevata negli uomini e 2,1 nelle donne.
I contributi della monografia: cosa emerge
L’articolo di INTERSOS, organizzazione non governativa senza scopo di lucro, offre una visione particolare dell’esclusione sociale. Gli operatori sociosanitari di INTERSOS operano nell’area della Capitanata di Foggia, dove migranti perlopiù irregolari sfruttati nel comparto agro-alimentare dimorano in un ghetto isolato, permanente e sovraffollato. Queste persone vivono in condizioni di estrema precarietà abitativa e sanitaria, raggiungendo le diverse migliaia di unità nel periodo della raccolta dei pomodori.
Non è difficile comprendere che le barriere di accesso ai servizi sociosanitari sono molteplici, poiché in quest’area mancano i servizi essenziali, gli interventi sociosanitari e quelli a favore dell’integrazione dei migranti. L’esperienza pluriennale di INTERSOS nel territorio del foggiano, che secondo l’Istat è tra i sei Comuni in cui si registra la più alta presenza di persone senza dimora, avviene in collaborazione con le strutture sanitarie locali, ed è un ottimo esempio di applicazione del framework della sanità di prossimità descritto nell’Editoriale della monografia Marginalità sociale e prossimità sanitaria (cfr. p. i). Gli operatori presenti sul territorio con unità mobili offrono cure sanitarie di primo livello, assistenza sociale e interventi educativi, raggiungendo le persone direttamente presso gli insediamenti informali. Riguardo ai dati raccolti da INTERSOS, nel 2022 si delinea un profilo di salute caratterizzato prevalentemente da patologie non trasmissibili come quelle a carico dell’apparato digerente e muscoloscheletrico, mentre non vi è evidenza di patologie infettive di importazione/tropicali; sono invece frequenti traumatismi dovuti a incidenti sul lavoro. Queste evidenze favoriscono la decostruzione dello stereotipo del “migrante untore”.
INTERSOS non documenta solo il profilo di salute delle persone che dimorano negli insediamenti informali nell’area della Capitanata, ma restituisce la consapevolezza di un fenomeno diffuso in tutta Italia e ben documentato da una recente indagine nazionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulle condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agro-alimentare (7). Nel 2022, l’indagine ha mappato, in Italia, almeno 150 realtà simili a quella della Capitanata, che nella Prefazione sono indicati come luoghi in cui vengono negati dignità e diritti dei lavoratori migranti. L’indagine documenta al tempo stesso specifici interventi di inserimento abitativo di queste persone, a dimostrazione che laddove vi è una volontà e possibilità di intervento, può esistere un’alternativa alle precarietà.
Un modello di assistenza basato sulla presenza di presidi assistenziali a bassa soglia è quello che meglio si adatta a intercettare gli esclusi nelle grandi aree urbane: gli articoli dell’Area Sanitaria della Caritas di Roma e dell’Opera San Francesco per i poveri di Milano delineano lo stato di salute delle persone assistite. Il contributo di Caritas rileva una modifica del quadro epidemiologico degli assistiti nel corso di quarant’anni: un aumento delle malattie croniche, soprattutto cardiovascolari e metaboliche, e una riduzione delle malattie infettive. L’Opera San Francesco approfondisce con uno studio analitico la frequenza delle malattie croniche nei propri assistiti e stima una maggiore prevalenza di malattie cardiovascolari, mentali e metaboliche (diabete) tra i migranti del Sud America e dell’Asia rispetto alle popolazioni europee.
I dati del contributo di Caritas dimostrano, inoltre, che nel tempo è cresciuto il grado di complessità e di fragilità della popolazione da assistere: sono aumentate le persone con nessun titolo di studio e anche quelle di nazionalità italiana e i senza dimora, verosimilmente anche a causa delle ricorrenti crisi economiche. Complica l’attività assistenziale il notevole aumento nel tempo del numero dei Paesi di provenienza di coloro che sono costretti a lasciare il proprio Paese per situazioni di conflitto, emergenze umanitarie e ambientali.
Il report sulla salute di migranti e rifugiati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta che dal 1990 al 2020 la popolazione globale è passata da 5,3 a 7,8 miliardi, con un aumento dei migranti internazionali (da 153 a 281 milioni). Inoltre, nei primi sei mesi del 2022, il numero di persone costrette a fuggire da conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani e persecuzioni ha superato per la prima volta i 100 milioni, a causa di nuove ondate di violenza o conflitti prolungati in Paesi come Afghanistan, Burkina Faso, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Myanmar e Nigeria (8).
L'esperienza della migrazione è un determinante fondamentale della salute e del benessere, poiché la salute dei migranti si presenta particolarmente vulnerabile per il sommarsi degli effetti delle condizioni di partenza, viaggio e permanenza nel Paese di transito o accoglienza. Le esperienze INTERSOS e Caritas evidenziano una situazione in cui le persone sono esposte a molteplici processi di esclusione: precarietà abitativa e giuridica, sfruttamento lavorativo, bassi livelli di educazione e isolamento che, come già verificato in alcuni studi, sono associati a esiti di salute peggiori rispetto al resto della popolazione, inclusi i migranti regolari (9).
È noto che i migranti in stato di irregolarità accedono con difficoltà ai servizi offerti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e, quando vi riescono, è solo in situazioni di emergenza, senza poter usufruire di una continuità assistenziale post dimissioni o di percorsi diagnostico-terapeutici per le malattie croniche. Qualsiasi siano le barriere di accesso alla prevenzione e alle cure primarie dell’SSN, la mancata presa in carico si può tradurre in ricorso alle strutture di pronto soccorso e alle ospedalizzazioni definite come evitabili (9). Sulle difficoltà di accesso incidono lo status giuridico nonché quello economico e le barriere culturali (8). L’articolo del gruppo di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità documenta che tali barriere esistono tramite l'analisi dei dati relativi alla vaccinazione COVID-19 negli stranieri non residenti. Cosi come già documentato in molti Paesi europei, si osserva una limitatissima percentuale di vaccinati stranieri non residenti, e anche con un ritardo nella somministrazione del ciclo vaccinale primario, rispetto al totale dei vaccinati.
In Italia vi sono poche conoscenze circa il profilo di salute delle persone in condizione di detenzione. La popolazione carceraria italiana è composta da oltre 56.000 persone detenute (dati 2022 del Ministero della Giustizia), spesso in condizioni di sovraffollamento. Questa situazione determina, tra l’altro, un’elevata prevalenza di diagnosi psichiatriche (9,2 ogni 100 detenuti) (10) e, con l’invecchiamento della popolazione carceraria, una maggiore domanda di salute e necessità di cure per il trattamento di patologie croniche.
L’analisi descrittiva sull’uso dei farmaci condotta in cinque istituti penitenziari delle ASL Roma 2 e della ASL Viterbo riporta un elevato uso di farmaci per le patologie del sistema nervoso centrale, dell’apparato gastrointestinale e per il trattamento dei disordini metabolici. Viene, inoltre, evidenziata un’importante disomogeneità prescrittiva tra i diversi istituti. Gli autori osservano che, tra le criticità nelle modalità di offerta dell’assistenza alle persone detenute, vi sia la mancanza di un sistema informativo che consenta la raccolta di dati relativi alla salute di queste persone, da utilizzare anche per iniziative di valutazione dell'assistenza e formazione degli operatori sanitari, e auspicano una maggiore collaborazione tra gli istituti penitenziari e le strutture sanitarie locali.
Conclusioni
Per citare ancora Michael Marmot, ci troviamo contemporaneamente “nella primavera della speranza” e “nell’inverno della disperazione”. Primavera della speranza poiché le evidenze epidemiologiche dimostrano che la salute non dipende solo dalle soluzioni tecniche e dalle scoperte rese disponibili da scienza e medicina, ma anche dalla natura della società. In base a tali evidenze sono stati avviati alcuni interventi che hanno migliorato l’accesso ai servizi delle persone.
Siamo, tuttavia, anche nell’inverno della disperazione, poiché le disuguaglianze di salute aumentano, i Paesi ad alto reddito competono per sfruttare le risorse in Africa e le differenze etniche e religiose sono strumentalizzate per generare caos (11).
La comunità degli epidemiologi deve rimanere concentrata sulla soluzione dei problemi di salute pubblica, includendo anche le popolazioni in condizione di grave marginalità sociosanitaria, cioè di coloro che si trovano ben al di sotto del livello più basso della scala sociale. Migliorare le condizioni di salute di queste persone richiede un approccio integrato e multisettoriale, risorse adeguate ed efficaci, politiche inclusive, sostenute da evidenze scientifiche. Purtroppo questo ambito di ricerca epidemiologica appare ancora poco esplorato. Mancano le infrastrutture per una raccolta sistematica dei dati o se realizzate sono da perfezionare, e sono poche le iniziative di formazione e informazione destinate agli operatori sanitari dei servizi territoriali. È forse anche poco sfruttato il patrimonio di dati raccolto dagli operatori del terzo settore, che potrebbe rappresentare una base per avviare politiche almeno a livello di comunità. Ulteriori studi su questi temi, con quesiti di ricerca rilevanti e ben condotti, potrebbero rappresentare il fondamento razionale per comunicare con i decisori politici e sarebbero anche funzionali a rappresentazioni sociosanitarie finalizzate a trasmettere “una scossa etica” in Italia e nel resto dell’Europa.
Concludiamo sottolineando che le forme di governo democratiche rispetto a quelle autocratiche hanno come fondamento il riconoscimento della “persona” a cui si riconoscono oltre ai diritti di libertà, i diritti sociali, tra cui il diritto alla salute, che si ispirano a un principio di uguaglianza. Osserva Norberto Bobbio che riconoscimento dei diritti sociali (o di prestazione), al contrario di quelli di libertà, “richiede l’intervento diretto dello Stato nel creare istituti atti a rendere di fatto possibile l’accesso all’istruzione, al lavoro e alla cura della propria salute” e “a rimuovere gli ostacoli” (art. 3 della Costituzione italiana) (…) e ancora “la vastità che ha assunto il dibattito sui diritti fondamentali dell’uomo in corso è un segno di progresso morale della società. Non sarà inopportuno ripetere che questa crescita morale si misura non dalle parole ma dai fatti” (12).
Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.
Finanziamenti: nessuno.
Authorship: tutti gli autori hanno contribuito in modo significativo alla realizzazione di questo studio nella forma sottomessa.
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