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Oms: le disuguaglianze uccidono su larga scala

L’ingiustizia sociale uccide su larga scala: lo afferma la commissione dell’Oms sui determinanti sociali della salute, composta da decisori, accademici, ex-capi di Stato ed ex-ministri della salute. La commissione ha lavorato per tre anni sul tema dei determinanti sociali della salute, e ad agosto 2008 ha pubblicato i suoi risultati in un rapporto, intitolato “Closing the Gap in a Generation: Health Equity through Action on the Social Determinants of Health” e presentato al direttore generale dell’Oms Margaret Chan.

 

«Le disuguaglianze di salute sono una questione di vita e di morte, ma i sistemi sanitari non tendono per loro natura all’uguaglianza. L’assistenza primaria è la cornice migliore in cui agire per fare in modo che tutti gli attori, anche al di fuori del settore sanitario, esaminino il loro impatto sulla salute», ha commentato Chan.

 

Le disuguaglianze all’interno dei Paesi

Le disuguaglianze sanitarie fra i Paesi sono studiate da tempo, ma la commissione evidenzia ora anche quelle presenti all’interno dei singoli Paesi: c’è un legame diretto fra reddito e salute, chiamato gradiente sociale, presente non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche nei più ricchi. Il gradiente sociale può essere più o meno marcato, ma è un fenomeno universale. Per esempio:

  • in Indonesia la mortalità materna nelle fasce povere è 3-4 volte maggiore rispetto alle fasce ricche
  • la mortalità infantile negli slum di Nairobi è 2,5 volte superiore rispetto ad altre zone della città
  • l’aspettativa di vita di un aborigeno maschio australiano è minore di 17 anni rispetto a un maschio australiano non aborigeno
  • negli Stati Uniti, fra il 1991 e il 2000, 886.202 morti si sarebbero potute evitare se gli afroamericani avessero avuto lo stesso tasso di mortalità dei bianchi (nello stesso periodo, le vite salvate negli Stati Uniti grazie ai progressi della medicina sono state in tutto 176.633).

Il benessere non è necessariamente un determinante

La crescita economica, in atto in molti Paesi, da sola non sempre basta a migliorare la salute della popolazione: senza un’equa distribuzione dei benefici, la crescita economica può anzi esacerbare le disuguaglianze. D’altra parte, alcuni Paesi a basso reddito hanno raggiunto buoni livelli sanitari: per esempio Cuba, Costa Rica, Cina, Sri Lanka e lo Stato indiano del Kerala.

 

La commissione ha sottolineato che il benessere dev’essere usato con giudizio e ha portato, come esempio di eccellenza da seguire in tutto il mondo, i Paesi dell’Europa settentrionale, che hanno sviluppato politiche per l’uguaglianza dei benefici e dei servizi, la piena occupazione, la parità fra i sessi e un basso livello di emarginazione sociale.

 

Al di là del settore sanitario

Secondo la commissione, buona parte del lavoro di riduzione delle disuguaglianze è al di là delle possibilità del settore sanitario: la causa di molte malattie non è la mancanza di antibiotici, ma di acqua pulita, e le malattie cardiache non dipendono tanto dalla scarsità di unità coronariche, quanto dagli stili e dagli ambienti di vita. Di conseguenza, il settore sanitario deve attirare l’attenzione sulle cause alla radice delle disuguaglianze.

 

«Ci affidiamo troppo agli interventi medici. Un modo migliore per aumentare l’aspettativa di vita e migliorare la qualità della vita sarebbe l’adozione, da parte di ogni governo, di politiche e programmi per la salute e l’uguaglianza sanitaria», ha commentato Michael Marmot, presidente della commissione.

 

Le raccomandazioni della commissione

La commissione ha formulato tre raccomandazioni generali per contrastare gli effetti delle disuguaglianze:

  • migliorare le condizioni della vita quotidiana. In particolare, la commissione richiama gli Stati ad agire e collaborare per l’infanzia, i rifornimenti di acqua pulita e la copertura universale dei sistemi sanitari
  • contrastare, a livello globale, nazionale e locale, la distribuzione ingiusta del potere, del denaro e delle risorse, che sono i determinanti strutturali delle condizioni di vita. Ai Paesi più ricchi la commissione chiede di onorare l’impegno di dedicare lo 0,7% del prodotto nazionale lordo agli aiuti. A livello globale, raccomanda l’adozione dell’equità sanitaria come obiettivo centrale dello sviluppo, e dei determinanti sociali della salute come indice del progresso
  • misurare e analizzare il problema e verificare l’impatto dell’azione. Per questo è necessario innanzitutto investire in sistemi di registrazione e nella formazione di decisori e professionisti sanitari.

«Un crimine non agire»

«Un mondo più giusto sarebbe un mondo più sano. I servizi sanitari e gli interventi medici sono solo uno dei fattori che influenzano la salute della popolazione. L’aumento delle disuguaglianze sanitarie è un fenomeno presente nei Paesi a medio-basso reddito ma anche in Europa. Sarebbe un crimine non intraprendere tutte le azioni possibili per contrastarlo», ha affermato Giovanni Berlinguer, membro della commissione, deputato al Parlamento europeo ed ex-componente del Comitato internazionale di bioetica dell’Unesco.

 

Un altro membro della Commissione, Amartya Sen, professore di Economia e di Filosofia ad Harvard e premio Nobel per l’Economia nel 1998, ha invece dichiarato: «L’obiettivo primario dello sviluppo, per ogni singolo Paese e per il mondo in generale, è l’eliminazione delle limitazioni che impoveriscono la vita delle persone e ne riducono la durata. La causa fondamentale della deprivazione umana è l’impossibilità di vivere vite lunghe e in salute, e questo è molto più che un problema medico: è legato agli svantaggi che hanno profonde radici sociali».

 

Progressi già in atto

Anche se si avverte la necessità di ulteriori studi, le conoscenze attuali sono sufficienti per avviare l’azione. In 30 anni l’Egitto ha ridotto la mortalità infantile dal 235 per mille al 33 per mille, e la Grecia e il Portogallo dal 50 per mille sono arrivati quasi ai livelli di Svezia, Islanda e Giappone. Nel 2000, Cuba ha raggiunto una copertura del 99% dei servizi per l’infanzia.

 

La commissione ha già messo in moto azioni concrete in diverse parti del mondo: Brasile, Canada, Svezia, Regno Unito, Kenya, Iran, Mozambico, Cile e Sri Lanka sono diventati “Paesi partner” della commissione impegnandosi a far progredire l’equità sanitaria, e stanno già sviluppando politiche in proposito. Questi esempi dimostrano che se c’è la volontà politica il cambiamento è possibile. La strada da fare è ancora lunga ma, secondo la commissione, la direzione è stata fissata e il percorso è chiaro. L’Oms metterà ora il rapporto a disposizione degli Stati membri, che decideranno come le rispettive agenzie sanitarie dovranno rispondere.

 

 

Leggi il comunicato sul sito dell’Oms.

Scarica la sintesi del rapporto (pdf 4,25 Mb) e il rapporto completo (pdf 7,28 Mb).

Consulta anche la presentazione del rapporto (pdf 948 kb).