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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Evoluzione dell’Ivg in Puglia: diffusione dei servizi e ritorno dell’informazione

Nei primi anni ’80 la Regione Puglia ha chiesto all’Istituto superiore di sanità (Iss) un supporto per la gestione della sorveglianza epidemiologica dell’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Da allora si è sviluppata una collaborazione attiva che ha visto la produzione e l’analisi dei dati del fenomeno, il ritorno dell’informazione mediante rapporti e la realizzazione di indagini di approfondimento con la diffusione dei risultati. Inoltre, sono state attivate consistenti iniziative di aggiornamento professionale riguardanti soprattutto gli operatori dei consultori familiari anche al fine (grazie agli stanziamenti messi a disposizione all’inizio degli anni Novanta dal ministero della Salute) di progettare e implementare strategie di promozione della salute della donna e dell’età evolutiva che avessero come effetto anche una maggiore capacità di controllo sulla fecondità.

 

Per una migliore comprensione del fenomeno Ivg, alla fine del periodo di collaborazione tra l’Iss e la Puglia, è stata fatta un’analisi complessiva della realtà locale confrontandola anche con altre Regioni italiane. Quello che è emerso, come appare dal rapporto Istisan “Evoluzione dell’interruzione volontaria di gravidanza in Puglia dagli anni ’80 al 2007” pubblicato a febbraio 2012, è la peculiarità della Puglia rispetto alle altre Regioni del Sud. Il documento fornisce un quadro completo dell’evoluzione del fenomeno, delinea le indicazioni per la prevenzione anche alla luce delle indagini su conoscenze, attitudini e comportamenti relativi alla procreazione responsabile, propone elementi per il miglioramento dell’efficienza dei servizi, oltre alle linee di indirizzo del nuovo sistema informativo regionale.

 

L’importanza della diffusione dei servizi

La Puglia è l’unica Regione meridionale che all’inizio della legalizzazione dell’aborto ha attivato servizi per l’interruzione di gravidanza in ogni Usl (al tempo oltre 50), creando una diffusione territoriale capillare, con uno straordinario ricorso alle cliniche convenzionate. Ciò ha permesso l’emergere dalla clandestinità di praticamente tutta l’abortività, in analogia a quanto accadeva nelle Regioni centro-settentrionali ma differentemente da quanto accadeva in quelle del Sud d’Italia. In effetti, nel 1982 il tasso di abortività in Puglia risultava il più alto del Paese (più del doppio di quanto si osservava nelle altre Regioni meridionali). Nell’indagine mondiale sulla fecondità del 1979, coordinata in Italia da Paolo De Sandre [1], il ricorso all’aborto tra le donne coniugate era risultato più frequente al Sud rispetto al Centro-Nord. Pertanto il basso tasso di abortività nelle Regioni meridionali, in contrasto con quello osservato in Puglia, faceva pensare a una persistente quota di abortività clandestina in queste zone dovuta alla carenza di servizi. In effetti, applicando tre diversi modelli matematici si è avuto conferma che ai circa 230 mila aborti legali registrati nel 1983 se ne dovevano aggiungere altri 100 mila, il 70% dei quali dalle Regioni del Sud, con l’eccezione della sola Puglia.

 

Le caratteristiche del fenomeno, come emergevano dall’analisi dei dati del sistema di sorveglianza epidemiologica messo in piedi dall’Iss (attivo dalla legalizzazione a oggi) e dalle relative indagini di approfondimento, stavano a indicare che il ricorso all’aborto non era una scelta d’elezione ma una ultima ratio in seguito al fallimento e/o all’uso scorretto di metodi per la procreazione responsabile utilizzati per evitare gravidanze indesiderate. Ciò appariva plausibile anche dalle scarse conoscenze generali delle donne sulla fisiologia della riproduzione registrate durante le indagini. Era dunque plausibile ipotizzare che l’emergere del fenomeno nella legalità avrebbe favorito una maggiore presa di coscienza e un maggiore impegno da parte dei servizi (consultoriali) per la promozione di competenze e conoscenze nel controllo della fecondità. E così è avvenuto, come è stato possibile accertare dallo studio dell’evoluzione del fenomeno in Italia e come confermato dall’evoluzione in Puglia.

 

Il ritorno dell’informazione

La Puglia ha visto la riduzione più consistente del ricorso all’aborto rispetto a tutte le altre Regioni italiane. Questo non solo grazie alla disponibilità reale di servizi ma anche grazie all’impegno dedicato alla disseminazione e all’informazione. Negli anni Ottanta la collaborazione con l’Iss ha portato a elaborare strategie di prevenzione dell’aborto a partire dalla riqualificazione dell’attività dei consultori familiari nella promozione della salute della donna e dell’età evolutiva. Questo ha per esempio portato come effetto secondario una maggiore capacità di controllo della fecondità con i metodi della procreazione responsabile. Le proposte dell’Iss in proposito sono state fatte proprie dal Comitato operativo materno-infantile istituito nel 1987 da Carlo Donat-Cattin, allora ministro della Sanità, e presieduto da Elio Guzzanti. A conclusione dei lavori, infatti, il Ministero stanziò 25 miliardi per la riqualificazione e potenziamento della rete consultoriale nelle Regioni del Sud, compresa la Puglia, dove risultava particolarmente carente. Le indicazioni dell’Iss, accolte anche dalla commissione sul materno infantile istituita nel 1995 dal Ministro Guzzanti, sono state infine alla base della redazione del Progetto obiettivo materno infantile (Pomi), approvato nel 2000.

 

A riprova dell’importanza delle attività di promozione della salute materno-infantile, un risultato importante e uno dei frutti più apprezzati della collaborazione tra l’Istituto superiore di sanità e la Regione Puglia è il raggiungimento del più basso tasso di abortività nella Provincia di Taranto. In questa zona, un particolare e sistematico impegno condotto nelle scuole con l’offerta attiva di corsi di educazione e informazione sessuale da parte dei consultori familiari coordinati da Silvia Sabato (coordinatrice dei consultori familiari della Asl di Taranto) ha rappresentato un esempio emblematico delle potenzialità dei consultori familiari quando lavorano secondo le linee di indirizzo del Progetto obiettivo materno infantile (Pomi).

 

Risorse utili

Riferimenti

  1. De Sandre P (Ed.). Indagine sulla fecondità in Italia 1979. Rapporto Generale Vol. I. Metodologia ed analisi. Bologna: Tecnoprint, 1982.

 

Data di creazione della pagina: 23 febbraio 2012

Revisione a cura di: Michele Grandolfo e Angela Spinelli - Reparto salute della donna e dell’età evolutiva, Cnesps-Iss