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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Alcol, non ci sono più le soglie di una volta



Emanuele Scafato, Direttore Osservatorio nazionale alcol, Istituto superiore di Sanità, Centro nazionale dipendenze e doping, Centro Oms per la ricerca sull’alcol

 

13 settembre 2018 – Non esistono soglie di consumo di alcol, neppure molto basse, considerate sicure per la salute: questo, in estrema sintesi, il messaggio della recente metanalisi di The Lancet – realizzata per il Global Burden of Disease Study – che ha superato la ristretta cerchia della comunità scientifica ed è stato diffuso a tambur battente dai mass media. Un messaggio forte ma, contrariamente a quanto si possa credere, tutt’altro che nuovo, dal momento che già nel 1995 L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dichiarava nella European Charter on Alcohol, condivisa a Parigi da 51 Stati membri, che livelli sicuri non esistono e affermava il valore del criterio “less is better” fondato sulla consapevolezza e il buon senso del consumatore.

 

Cosa dice lo studio

Va premesso che lo studio non fa riferimento specifico ad alcuna bevanda alcolica, ma piuttosto prende in considerazione l’alcol etilico in quanto sostanza cancerogena e tossica presente in ciascuna di esse.

 

Utilizzando 694 diversi database e 592 studi prospettici e retrospettivi provenienti da 195 Paesi relativi al periodo 1990-2016, analizza 23 esiti di salute e fotografa una situazione in cui i bevitori nel mondo sono 2,4 miliardi, per il 63% maschi. I decessi riconducibili al consumo di alcol sono quasi 3 milioni (in particolare rappresentano il 12% delle morti nei maschi nella fascia di età 15-49 anni). Le stime consentono di affermare che nel 2016 l’alcol era a livello globale la settima causa di morte e di anni di vita persi in buona salute.

 

Lo studio conclude, in accordo con una ricca letteratura scientifica, che esiste una correlazione diretta e inequivocabile tra consumo di alcol e morte prematura, insorgenza di tumori e di malattie cardiovascolari e aggiunge che solo l’astensione totale dall’alcol azzera i rischi per la salute. Suggerisce pertanto di rivedere in questa direzione tutte le politiche sanitarie orientate al controllo del consumo di alcol.

 

Un bicchiere al giorno…

Come conciliare questi risultati con la convinzione degli effetti protettivi di basse quantità di alcol sulla salute cardiovascolare, tipicamente il bicchiere di vino rosso ai pasti della consolidata tradizione italiana? Si tratta di benefici sostenuti da prove scientifiche talvolta solide, talvolta meno convincenti o frutto di qualche forzatura, per esempio la generalizzazione di effetti sull’uomo nella vita quotidiana di effetti osservati in sperimentazioni in vitro. Ma soprattutto bisogna sapere che le medesime modiche quantità benefiche al cuore sono dannose per altri organi o tessuti e predispongono a diverse malattie e a 14 tipi di cancro. Conclusione: a dossi basse e al netto dei possibili effetti protettivi, prevalgono comunque i rischi per la salute.

 

A riprova degli effetti diffusi dell’alcol ci sono i risultati di un bellissimo studio su cellule staminali totipotenti che ha dimostrato un effetto di danno diretto sul DNA oltre che di inibizione dei suoi meccanismi di riparazione. Un danno dunque che colpisce “a monte” e spiega come l’alcol sia uno dei più importante cancerogeni.

 

Un fatto è certo: superati i 10 grammi di alcol – poco meno di un bicchiere di vino o un boccale di birra – il rischio aumenta con l’incremento delle quantità consumate e il danno è rilevante. Dal punto di vista fisiologico l’organismo è in grado di metabolizzare un’unità alcolica (12 grammi di alcol puro pari a un bicchiere di vino rosso o a un boccale di birra) in circa 1-2 ore. Tutto quello che supera questa capacità epatica non è metabolizzato e circola per l’organismo facendo danni. È evidente che il danno maggiore deriva da un consumo elevato o comunque concentrato, ristretto nel tempo (il binge drinking). A ciò si aggiungono come critici per il metabolismo dell’alcol ingerito numerosi elementi di variabilità su base individuale (la capacità del fegato di metabolizzare l’alcol che è “immatura” fino ai 21 anni di età circa; la quantità d’acqua dell’organismo, minore nella donna; l’assunzione di farmaci che competono con il metabolismo epatico dell’alcol, frequente negli anziani) o in funzione della modalità del bere (a stomaco vuoto, quantità elevate in poco tempo). Le categorie più vulnerabili sono le donne, gli anziani e i giovanissimi (vulnerabilissimo il cervello sino ai 25 anni). Per loro le linee guida italiane prevedono quantità tollerabili differenti rispetto alle 2 unità alcoliche indicata per i maschi adulti: 1 unità alcolica per le donne e per gli ultra 65enni, zero per i minori. Per quanto riguarda la donna, bisogna sapere che il passaggio da 1 unità alcolica a 2, aumenta del 27% il rischio di cancro della mammella lì dove nel seno sono positivi i recettori per gli estrogeni sensibili alla stimolazione alcolica. Facile intuire che le ragazze oggi rischiano più che in passato di avviare in età precoce una lesione al seno che stimolata può evolvere verso il nodulo maligno.

 

Vale infine la pena di ricordare, come chiaramente riportato nelle tabelle sui Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana (Larn) della Società italiana di nutrizione umana (Sinu) e acquisito da anni dalle indicazioni della Società Italian di Alcologia (Sia) che l’alcol, con le sue 7 kcal per grammo, non è un nutriente pur essendo una sostanza d’interesse (ma non di valore) nutrizionale; in altri termini non può essere annoverato tra gli alimenti, a fronte del fatto che fornisce calorie che comunque ingrassano (quasi 100 kcal in un bicchiere di vino rosso).

 

Tra consapevolezza e rischio

Chi consuma alcol deve essere adeguatamente e completamente informato dei rischi che corre per scegliere consapevolmente. Favorire scelte informate vuol dire garantire salute e benessere per qualsiasi comportamento legato allo stile di vita: consumo di alcol, abitudine al fumo, abitudini alimentari o sedentarietà, tanto per citare quattro dei principali fattori di rischio modificabili legati allo stile di vita. Il richiamo all’incremento della consapevolezza è particolarmente importante per diverse ragioni.

 

Prima ragione: la percezione sociale del consumo di alcol è notevolmente cambiata e si differenzia per fasce di età. Degli 8 milioni e mezzo di consumatori a rischio in Italia, un milione sono minori al di sotto dell’età minima legale, 3 milioni e mezzo sono ultra 65enni. Inoltre, ogni generazione ha una bevanda alcolica di riferimento. I giovani consumano ogni tipo di bevanda secondo una valorizzazione imposta dalle strategie del mercato che presidia eventi culturali e sportivi, in cui l’alcol è presentato, ingannevolmente, come “cool” o “trendy”, oggetto immancabile di “happy hours” per natura intossicanti e sicuramente non in grado di migliorare alcun tipo di prestazione, come invece porta a ritenere certa pubblicità.

 

In definitiva, alle strategie di marketing non si è saputa contrapporre un’adeguata riflessione e predisporre azioni istituzionali coerenti con le necessità e urgenze che in Italia il Ministro della Salute riporta nella sua relazione annuale al Parlamento (Legge 125/2001). Ed è anche per questo che, purtroppo, gli alcolici, prevalentemente acquistati e consumati nei locali pubblici spesso in disapplicazione delle norme che ne vietano vendita e somministrazione al di sotto dei 18 anni, sono la prima causa di morte tra le giovani generazioni per effetto degli incidenti alcol-correlati sulle strade.

 

Seconda ragione: il rischio legato al consumo di alcol è evitabile su base individuale ed è per questo che non esiste una strategia che possa essere più efficace di quella scelta dalla persona. Il bere genera piacere (l’alcol è una sostanza psicoattiva) e per reiterare il piacere provato chi lo desidera e lo ricerca deve ripetere il comportamento. “Deve” perché in molti casi il bisogno è compulsivo e sempre più spesso persone che non hanno o hanno perso la capacità di controllo sul meccanismo del fermarsi rispetto alla voglia, al desiderio del piacere e della gratificazione (rewarding), manifestano la maggiore vulnerabilità personale con l’instaurarsi di una dipendenza che di solito non è mai isolata ma accompagnata dall’uso di altre sostanze, anche illegali, favorite dall’alcol “droga ponte”. La gran parte dei consumatori in Italia non è un consumatore a rischio, ma il numero assoluto di consumatori è alto (circa 35 milioni) e mezzo), quindi lo è, relativamente, anche la quota di consumatori a rischio (i già citati 8 milioni e mezzo).

 

Terza ragione: il rischio è acuto. Se interpretato male anche per una singola occasione nella vita, il bere ha implicazioni non solo per il danno a se stessi ma anche sul livello di responsabilità personale sul benessere, la sicurezza e la vita degli altri. A rifletterci bene, nessun altro comportamento dannoso ed evitabile come il consumo di alcol, legato allo stile di vita, ha un impatto potenzialmente così grave e fatale nell’immediato. Conoscere per non rischiare può fare la differenza.

 

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