Consumo di alcol nel 2018: i dati della Relazione al Parlamento 2020
Il 1 dicembre 2020 il Ministro della Salute ha trasmesso al Parlamento la relazione annuale sul consumo di bevande alcoliche nel nostro Paese. I dati sono riferiti al 2018 e vengono pubblicati alla fine del 2020 per la situazione COVID 19 che ha comportato oggettive difficoltà nel rispetto delle tempistiche di pubblicazione; sono tuttavia già in fase di completamento quelli del 2019 per la prossima relazione prevista per i primi mesi del 2021.
Un colpo d’occhio sui dati
I dati, riferiti al 2018, confermano l’aumento del consumo occasionale di alcol (passato in un anno dal 44% al 46%) e del consumo fuori pasto (dal 29% al 30%) e di contro una diminuzione del consumo giornaliero (dal 21,4% al 20,6%). Tuttavia, i cambiamenti nelle abitudini degli ultimi anni sono diffusi in tutte le fasce d’età, ma in maniera differenziata: fino ai 44enni c’è un maggior calo di consumo alcolico giornaliero mentre dai 45 anni in poi aumenta principalmente il numero di consumatori occasionali e, specialmente tra le donne, il numero di consumatrici di alcol fuori pasto.
Rimane critico il consumo di bevande alcoliche tra i giovani, anche minorenni: nella fascia di età 11-24 anni è diffusa la consuetudine di bere alcolici fuori dai pasti, con una frequenza anche infra-settimanale e non solo nel week-end, a conferma del consolidamento di un consumo abituale e rischioso per il 17,2% dei giovani tra i 18 e i 24 anni di età (22,6% maschi e 11,1% femmine).
Per quanto riguarda i consumi a rischio, nel 2018 il 23,4% degli uomini e l’8,9% delle donne di età superiore a 11 anni, per un totale di quasi 8.700.000 persone, non hanno seguito le indicazioni di salute pubblica relativamente alle modalità di consumo delle bevande alcoliche. In entrambi i generi, i più a rischio sono i 16-17enni e gli ultra 65enni. Per lo stesso motivo, circa 800.000 minorenni e 2.700.000 ultra sessantacinquenni sono da considerare a rischio di sviluppo di patologie e problematiche alcol-correlate.
La stima puntuale del numero di alcoldipendenti presenti nel nostro Paese ha finora presentato difficoltà di vario tipo e non esistono dati realmente esaustivi. Nel 2018, i 408 servizi o gruppi di lavoro del SSN hanno preso in carico 65.520 alcodipendenti, di cui 17.887 nuovi utenti (13.754 erano maschi). L’analisi per età evidenzia che la classe modale è 40-49 anni, con 19.390 utenti sia per l’utenza totale che per le due categorie dei nuovi e vecchi utenti, seguita da 50-59enni e ultra 60enni. Non va tuttavia dimenticato che vi sono anche 230 utenti sotto i 19 anni. La discrepanza tra il numero degli alcoldipendenti e quello dei pazienti con un danno d’organo già in atto e condizioni cliniche tali da richiedere trattamenti assimilati a quelli per l’alcoldipendenza (circa 600 mila) rende l’alcoldipendenza una tra le più rilevanti disuguaglianze di salute e una tra le più neglette condizioni d’intervento e terapia tra tutte quelle afferenti alla salute mentale.
Nel corso del 2018 l’abuso di alcol è stato causa di 40.083 accessi in Pronto Soccorso caratterizzati da una diagnosi principale o secondaria attribuibile all’alcol (il 70% maschi e il 30% femmine). Preoccupante il rilievo del 7,8 % e del 14 % rispettivamente di adolescenti, maschi e femmine rispettivamente, al di sotto dei 17 anni (9,7 % in media).
Dai dati ricavati dalle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) nel 2018 si rilevano complessivamente 55.032 dimissioni ospedaliere, caratterizzate dall’avere indicata almeno una patologia attribuibile all’alcol (o come diagnosi principale di dimissione o come una delle diagnosi secondarie), che coesistono al momento del ricovero e che influenzano il trattamento terapeutico somministrato. La distribuzione per classi diagnostiche rilevate mostra la netta prevalenza delle patologie epatiche croniche, come steatosi, epatite e cirrosi (56,2% delle dimissioni); seguono le sindromi da dipendenza da alcol, come intossicazione acuta (ubriacatezza acuta in corso di alcolismo), alcolismo cronico e dipsomania (entrambe al 22,4%). I ricoveri per abuso di alcol, effetti postumi all’eccessiva assunzione più o meno occasionale di alcol, hangover, ebbrezza e ubriachezza si collocano al terzo posto (15,6%).
I dati relativi ai decessi totalmente alcol-attribuibili sono forniti dall’ISTAT ed elaborati dall’ISS. I dati più recenti attualmente disponibili si riferiscono ai decessi avvenuti in Italia nel 2016 e le analisi includono tutti i residenti (sia cittadini italiani che stranieri). Nel 2016 il numero di decessi di persone di età superiore a 15 anni per patologie totalmente alcol-attribuibili è stato pari a 1290, in leggero aumento rispetto all’anno precedente. Di questi 1032 sono uomini (80%) e 258 donne (20%), che corrispondono a circa 41 decessi per milione di abitanti tra gli uomini e circa 9 decessi per milione tra le donne. Le due patologie che causano il numero maggiore di decessi in entrambi i sessi sono le epatopatie alcoliche (M=759; F=203) e le sindromi psicotiche indotte da alcol (M=201; F=42) che, nel complesso, causano il 93% dei decessi alcol-attribuibili tra gli uomini e il 95% tra le donne. La mortalità alcol-attribuibile è più elevata nella popolazione di età avanzata sia per gli uomini che per le donne; infatti, tra la popolazione ultra 55enne il tasso di mortalità standardizzato è di 7,92 per 100.000 abitanti e di 1,50 per 100.000 rispettivamente per uomini e donne. Alla mortalità direttamente alcol attribuibile si affianca la stima confermata di circa 17.000 decessi parzialmente attribuibili a oltre 200 condizioni patologiche causate dall’alcol. Si tratta di 48 decessi al giorno dovuti soprattutto a quattro cause: il cancro, la cirrosi epatica, l’incidentalità stradale e la mortalità cardiovascolare.
Alcune riflessioni
I dati pubblicati, seppur riferiti al 2018 - e quindi idealmente lontani – sono invece importanti strumenti decisionali perché permettono di identificare fasce di popolazione vulnerabili, soprattutto in un 2020 caratterizzato dalla riduzione dell’offerta assistenziale e dall’adozione di politiche di distanziamento sociale.
Ad oggi si sa poco sull'impatto che le crisi di salute pubblica hanno sul consumo di alcol. Alcuni studi condotti durante l’epidemia di SARS (primi anni 2000) hanno evidenziato un aumento del consumo di alcol dopo un anno dalla conclusione dell’epidemia e, nei tre anni successivi, un aumento del rischio di disturbi dell’uso di alcol in gruppi particolarmente colpiti, come i dipendenti degli ospedali. Altre evidenze, legate a catastrofi naturali e agli attentati dell’11 settembre 2001, hanno evidenziato un aumento del disagio psicologico dovuto all’incertezza, all’isolamento sociale e al disagio psicosociale come potenziale meccanismo che ha portato a cambiamenti nel consumo di alcol.
Per questo motivo è necessario pensare da oggi alle azioni da intraprendere per arginare l’ondata di disordini da alcol attesa per i prossimi mesi e anni.
Il ruolo dell’ISS
L’Osservatorio Nazionale Alcol (ONA) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), come riportato dal Ministro della Salute in Parlamento, ha il ruolo di guida formale del monitoraggio epidemiologico legato all’attuazione del SISMA (Sistema Monitoraggio Alcol) ai sensi del DPCM 03/03/2017 e di partecipazione alle politiche internazionali alla quale è dedicato un intero paragrafo della relazione. Il monitoraggio alcol-correlato in Italia consente di stimare entità e tendenza del consumo “rischioso” in cui si annida il bacino di utenza dei potenziali nuovi utenti in carico ai centri e servizi di alcologia. Ciò è possibile attraverso il progetto SISMA (finanziato dal Centro Nazionale per la prevenzione e il controllo delle Malattie (CCM) del ministero della Salute. Gli indicatori utilizzati dal SISMA sono costruiti e validati dall’ONA (sede della WHO Collaborative Centre - WHO CC Research on Alcohol) producono flussi informativi di dettaglio nazionale e regionale.
Pagine correlate
- leggi la riflessione “Consumo di alcol nel 2018 e nel 2020: una riflessione per il futuro”