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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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La necessità di appropriatezza e di cautela per i messaggi e le raccomandazioni sull’effetto protettivo di consumi moderati di alcol



Emanuele Scafato - direttore dell’Osservatorio nazionale alcol e del centro di collaborazione Oms per la ricerca sull’alcol

 

Le raccomandazioni in tema di alcol e salute sono da sempre oggetto di dibattito e di scontro in ambito etico oltre che scientifico. Da sempre l’Oms sollecita gli Stati membri di rifuggire dalla tentazione di identificare dosi “soglia” o “sicure”. Suggerisce invece di adottare il principio di cautela, in base alla costante e progressiva evidenza che i risultati prodotti dalla letteratura scientifica accreditata hanno mostrato nel corso degli anni: l’esistenza di nuovi rischi alcolcorrelati consente allo stato attuale di stilare una lista di 60 patologie o condizioni direttamente o indirettamente, parzialmente o totalmente attribuibili all’alcol. Nel caso delle patologie cardiovascolari (nello specifico solo di alcune di esse) le stime per la mortalità specifica elaborate per l’Italia indicano in circa 8900 i decessi annuali per patologie cardiovascolari causate dal consumo di alcol. Il dato si riferisce alla mortalità registrata al netto del “risparmio” di mortalità verificabile soprattutto tra le donne, che è la più elevata in termini di numerosità e di contributo alle morti attribuibili all’alcol in Italia (si vedano i dati di Rehm e Scafato pubblicati su EpiCentro).

 

Pur in presenza di un’evidenza di riduzione del rischio di mortalità specifica per cardiomiopatia ischemica nei soggetti oltre i 50 anni di età con un consumo di meno di 10 grammi di alcol al giorno (un bicchiere ogni due giorni), non si può ignorare che per gli stessi livelli medi di consumo alcolico si registrano rischi incrementati per diverse altre diffuse patologie cardiovascolari, come l’ipertensione o le aritmie. Per queste patologie l’alcol è la causa, in Italia, rispettivamente di 5600 e 6900 morti evitabili.

 

In buona sostanza, se un bicchiere di vino o di qualunque altra bevanda alcolica può giovare alla riduzione del rischio per una specifica condizione patologica, allo stesso tempo incrementa significativamente il rischio per altre patologie: il cancro, la cirrosi epatica, gli incidenti e la maggior parte delle patologie vascolari, solo per citare le più importanti.

 

Questo è motivo di riflessione in merito alle opportunità di diffusione di una corretta comunicazione sui rischi che comporta anche la moderazione e sull’impatto individuale delle scelte personali. È inoltre motivo di riflessione sulla necessità, da parte dei media, di garantire un’informazione completa e oggettiva e, nel caso della televisione pubblica, lontana da interessi commerciali.

 

Le raccomandazioni dell’Oms

Il Framework for alcohol policy in the Who European Region (pdf 452 kb) dell’Oms Europa recita: «Se è vero che esiste l’evidenza scientifica che un basso consumo regolare in certi gruppi è associato alla riduzione del rischio di malattie cardiovascolari e del diabete di tipo 2, la ricerca di controllo non indica di incoraggiare i pazienti a usare l’alcol come un mezzo per ridurre i rischi di queste malattie. Il consumo di alcol non può essere raccomandato come un farmaco preventivo». Inoltre: «I benefici per la salute dell’alcol nella popolazione riferiti alle malattie cardiovascolari si registrano a bassi o bassissimi livelli di consumo, al massimo un’unità di alcol al giorno per gli uomini all’età di 70 anni, e meno di mezza unità alcolica al giorno per le donne della stessa età. Qualunque consumo superiore a questi livelli è associato a un aumento del rischio. Al di sotto dei 40 anni non si registra alcun effetto benefico dell’alcol. Bere fino all’intossicazione è sempre associato a un aumento del rischio».

Il documento sottolinea, giustamente, anche i ruoli che l’individuo, le istituzioni, i ricercatori, la comunità scientifica e l’industria devono o possono giocare, e se ne possono estrapolare alcune questioni di contesto legate alle linee guida e alle raccomandazioni sul bere:

  • l’individuo: gli adulti scelgono se e quanto bere secondo i loro valori, le loro preoccupazioni e le loro preferenze. Hanno anche la responsabilità di evitare di danneggiare gli altri con le loro scelte riguardo al bere. È importante rendere gli individui capaci di realizzare significativi cambiamenti di stili di vita, ma ogni scelta, compreso il comportamento a proposito dell’alcol, viene fatta in un contesto culturale e di situazioni. Appellarsi esclusivamente alla responsabilità individuale di bere con responsabilità manca di significato contestuale, non considera il fatto che le decisioni spesso devono essere prese quando l’individuo è già intossicato, e raramente produce una risposta significativa in termini di comportamento
  • gli operatori sanitari e le istituzioni di salute pubblica: sono attori importanti in quanto forniscono servizi di assistenza sanitaria, compresi il trattamento e l’intervento breve, alle persone con problemi alcolcorrelati e alle loro famiglie. Inoltre, per il loro ruolo riconosciuto dalla società, sono alleati naturali per contribuire ad affrontare i danni alcolcorrelati. Una maggiore comprensione da parte di questi professionisti delle dimensioni dei problemi alcolcorrelati e della necessità di predisporre politiche sull’alcol efficaci renderebbe più facile mobilitare le risorse e costruire il consenso per un reale cambiamento sociale
  • la comunità scientifica: per il lavoro dell’Ufficio regionale europeo dell’Oms e degli Stati membri è un criterio importante che le politiche per prevenire o ridurre i danni alcolcorrelati siano basate sull’evidenza scientifica. Questo, d’altra parte, impone una forte domanda di indipendenza della comunità dei ricercatori dagli interessi commerciali e da altri interessi di parte. Oltre al loro dovere nei confronti dell’etica scientifica, i ricercatori hanno la responsabilità di portare nella discussione pubblica e nel dibattito sulle politiche gli ultimi risultati della letteratura scientifica sui temi dell’alcol e della salute pubblica
  • i governi: l’aumento degli accordi commerciali, del mercato interno e più in generale il processo di globalizzazione hanno sostanzialmente indebolito l’abilità dei governi di usare alcuni degli strumenti più efficaci per prevenire e ridurre i problemi alcolcorrelati nel modo appropriato alle loro culture. Esiste pertanto la necessità, in una prospettiva di salute pubblica, di agire a livello internazionale in modo concertato per riconoscere senza equivoci che l’alcol è un bene di consumo speciale in riferimento ai gravi danni associati al suo consumo.

I governi hanno manifestato approcci differenti rispetto all’opportunità di pubblicizzare linee guida per un bere a basso rischio per la popolazione generale. È stato dimostrato che queste linee guida possono risultare di difficile interpretazione e possono essere percepite come quantità base “sicure” dalle quali poi salire per stabilire limiti personali. Specifiche linee guida sul bere per l’intera Regione europea non sono raccomandabili, e l’Oms continua a promuovere il messaggio “meno è meglio”. Se gli Stati membri dovessero considerare di formulare specifiche linee guida nazionali sul bere rivolte alla popolazione, dovrebbero essere tenute in considerazione le modalità di consumo e le culture nazionali.

 

Il ruolo dei produttori

Riguardo al consumo di alcol non ci sono limiti privi di rischio. D’altra parte, non ci sono ragioni per scoraggiare consumi a basso rischio nella popolazione adulta, a patto che vengano tenute in considerazione le circostanze e le situazioni individuali che includono, tra l’altro, fattori medici e sociali: essere alla guida di macchinari, essere in gravidanza, alcuni trattamenti farmacologici che possono interagire sfavorevolmente con l’alcol, il rischio di dipendenza. Per consumo a basso rischio, si intende che:

  • il consumo regolare di alcol si mantenga basso
  • non si verifichino episodi di intossicazione.

Le linee guida individuali per i bevitori problematici possono essere consigliate nel modo migliore dai professionisti che lavorano nei servizi sanitari, i quali usano gli strumenti e le linee guida disponibili. Quando si discute delle abitudini alcoliche con i pazienti, sarebbe opportuno parlare di modalità del bere e del volume del consumo alcolico.

 

In aggiunta alle figure chiave e alle parti interessate alla salute pubblica, i produttori di bevande alcoliche e le industrie, insieme alle organizzazioni collegate, hanno un ruolo primario per fare in modo che la produzione, la distribuzione, la promozione e la vendita di bevande alcoliche rispettino lo standard più elevato di etica di impresa.

 

Le politiche di salute pubblica che riguardano l’alcol devono essere formulate in base a interessi di salute pubblica, senza interferenze da parte di interessi commerciali. Il coinvolgimento dei produttori di bevande alcoliche e delle industrie collegate in programmi di educazione rivolti ai giovani o in attività giovanili è discutibile: il loro supporto, diretto o indiretto, può essere visto come un tentativo di guadagnare credibilità presso una platea giovanile.

 

Il diritto all’informazione e all’educazione

In definitiva si può affermare che dev’essere adottata un’estrema cautela nell’utilizzo di messaggi generalizzati; maggiori sforzi dovrebbero essere fatti per incrementare anche la capacità dei consumatori di poter adottare scelte informate. Questo è anche il messaggio della Risoluzione del Parlamento europeo del 5 settembre 2007 su una strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol, che sollecita a evitare l’uso di messaggi o informazioni ingannevoli che possano indurre equivoche interpretazioni sulle qualità nutrizionali e soprattutto sulle presunte proprietà terapeutiche. Non è trascurabile, in questo senso, l’articolo 22 (omissioni ingannevoli) del Codice del consumo, che al comma 1 recita testualmente: «È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in questo contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea a indurre in questo modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

 

Al di là degli intuitivi aspetti legali connessi al riconoscimento di un diritto all’informazione completa (ma anche del riconoscimento di eventuali danni alla salute in analogia a quanto avviene per il fumo), è un dato di fatto che la Legge 125/2001 (pdf 133 kb), all’articolo 2, tutela «il diritto delle persone, e in particolare dei bambini e degli adolescenti, a una vita familiare, sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze legate all’abuso di bevande alcoliche e superalcoliche», e sancisce il diritto all’informazione e all’educazione sulle conseguenze derivanti dal consumo e dall’abuso di bevande alcoliche e superalcoliche.

 

La stessa Legge, inoltre, «promuove la ricerca e garantisce adeguati livelli di formazione e di aggiornamento del personale che si occupa dei problemi alcolcorrelati». Eppure quest’ambito di ricerca, allo stato attuale, in Italia non riceve praticamente nulla in termini di finanziamento. Inoltre ha estreme difficoltà ad assicurare, attraverso attività istituzionali e indipendenti, le evidenze necessarie per garantire solide basi alle strategie per contrastare il consumo dannoso e rischioso di alcol e l’alcoldipendenza. È un handicap che incide e inciderà ancora di più in futuro nell’impegno che invece è richiesto e auspicabile per garantire più elevati livelli di salute e sicurezza individuali e collettivi.

 

Ogni anno in Italia almeno 28-30.000 individui muoiono a causa dell’alcol: sono decessi comunque evitabili a fronte di una sensibilizzazione e di un rinnovato impegno di tutti.