La finanziaria 2007 e il consumo di alcolici in Italia
Emanuele Scafato - direttore Osservatorio nazionale alcol, Cnesps
Le norme sulla vendita di alcolici inserite nella finanziaria 2007, in attesa di approvazione da parte delle Camere, si inquadrano in un contesto europeo di iniziative sulle “Alcohol policy”, in corso di evoluzione dal 2001. Sia l’Organizzazione mondiale della sanità che l’Unione europea sollecitano un’attenzione alle strategie che possono ridurre il preoccupante fenomeno del bere tra i giovani (inteso come modello emergente di uso dell’alcol da parte degli adolescenti, piuttosto che come abitudine al consumo moderato di bevande alcoliche nell’ambito di quello che potrebbe essere definito “bere sociale” o conviviale).
I numeri e gli obiettivi
L’Oms, nella strategia “Health for All”, si è prefissata un obiettivo ambizioso: entro il 2010 al di sotto dei 15 anni il consumo di alcol dovrà essere pari a zero; in pratica, non dovrebbero potersi registrare consumatori di alcol prima dei 16 anni. È sempre più evidente che i giovani sono soliti concentrare il consumo alcolico in determinate occasioni (per esempio, il fine settimana) e che questa abitudine si concretizza in un abuso nelle quantità di bevande alcoliche assunte: è il modello del cosiddetto “binge drinking” (in pratica il consumo, in un’unica occasione e in un ristretto arco temporale, di più di cinque-sei bevande alcoliche).
Tutto questo impone la necessità, in termini di tutela della salute, di adottare tutte quelle misure che possano contrastare la morbilità, la mortalità prematura e la disabilità tra i giovani europei. L’Oms aveva già lanciato l’allarme nel 2001, stimando in 55.000 i giovani tra i 15 e i 29 anni di età morti ogni anno a causa dell’alcol. Si tratta evidentemente di morti evitabili con un rapporto corretto con l’alcol e con la giusta percezione dei danni e dei problemi che possono essere collegati all’abuso e a un’errata valutazione del rischio: l’alcol, anche a basse quantità, ha infatti il triste primato di prima causa di morte per gli incidenti stradali (circa il 40% è attribuibile all’alcol). Inoltre i giovani hanno una frequenza a ubriacarsi maggiore rispetto agli adulti: i dati sui ricoveri per intossicazione etilica confermano questa evidenza.
Ma sarebbe ingiusto e fuorviante attribuire ai giovani tutta la responsabilità dei propri eccessi: l’informazione è spesso frammentaria e comunque inadeguata a rendere consapevoli i giovani che l’alcol è una sostanza tossica che viene metabolizzata in maniera completamente efficace all’interno dell’organismo solo a partire dai 18-20 anni. Prima di questa età, infatti, il sistema enzimatico non riesce a smaltire adeguatamente l’alcol ingerito e questo si verifica in particolare nel sesso femminile, rendendo più esposte le ragazze agli effetti nocivi e tossici dell’alcol. In buona sostanza, il processo finale di maturazione del sistema metabolico che smaltisce l’alcol abbraccia un arco temporale ampio compreso tra i 16 e i 18 anni: per questo, è adeguato adottare un principio di cautela ispirato alla fisiologia oltre che al buon senso.
La strategia europea
Queste informazioni, a volte non note persino agli adulti, costituiscono però la base del lungo percorso (cinque anni) di elaborazione in Commissione europea della “Community Strategy on Alcohol”, che prevede tra le sue cinque aree prioritarie la necessità di elevare o comunque armonizzare a 18 anni l’età minima legale per la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche. Ciò, peraltro, favorirebbe l’innalzamento nell’età di avvio al consumo alcolico, così come auspicato dalla comunità scientifica internazionale: è maggiore la frequenza di riscontro di malattie e problemi alcolcorrelati negli adulti che hanno cominciato a bere in età giovanile rispetto a quelli che, invece, hanno cominciato più tardi nel corso della vita. Incominciare a bere più tardi diminuisce il rischio di insorgenza in età adulta dei problemi legati all’alcol.
Ovviamente, per essere (in teoria) efficace e ineludibile, la norma sul divieto di vendita dovrà potersi applicare a tutti gli esercizi pubblici (inclusi i supermercati) che vendono bevande alcoliche e prevedere, dove possibile, una modalità di “proof of age” (identificazione dell’età) che in numerose realtà europee e internazionali è un fatto acquisito, socialmente accettato e sperimentato da anni. Nella pratica quotidiana è intuitivo prevedere l’adozione di un’infinita serie di possibili manovre elusive attuate dai giovani per procurarsi l’alcol. Sono trucchi già noti in altre realtà, ma questo non deve scoraggiare: quello che conta è che la norma agisca anche a livello culturale, per favorire la riflessione e la discussione tra i giovani. Per il fumo ci sono voluti anni per rendere socialmente accettabile un divieto; non ci si può realisticamente attendere, né chiedere, che questa norma possa trovare un immediato pieno riscontro.
È una norma che comunque va nella direzione giusta: non è banale né banalizzabile al luogo comune del cosiddetto “proibizionismo”. Il proibizionismo aveva infatti presupposti assolutamente più ampi, riguardava l’intera popolazione e assimilava impropriamente uso e abuso come unico male, ottenendo un effetto negativo e contrario agli scopi. I presupposti della norma riguardante i giovani sono invece assolutamente in linea con il diritto-dovere alla tutela della salute e alla necessità di favorire la cultura della libera scelta (quella del bere) interpretata nell’ottica di salvaguardia della salute e della sicurezza personale e altrui. Questi presupposti hanno coerenza e solidità scientifica di recente disseminazione nell’ambito delle attività comunitarie dedicate alle politiche sull’alcol. A questo proposito potrà essere utile la lettura delle raccomandazioni del rapporto europeo diffuso dalla Commissione europea, a cui ha contribuito l’Osservatorio nazionale alcol dell’Iss.
Cosa cambia con la finanziaria 2007
In Italia, la norma proposta introduce contemporaneamente due novità importanti: la prima è che si passa dai 16 anni ai 18 e la seconda, forse anche più rilevante, riguarda la modalità attraverso cui le bevande alcoliche possono essere (o non possono essere) dispensate. Finora, ai minori di 16 anni era proibita solo la somministrazione di alcolici, ma non la vendita: un minore secondo la legge non poteva ordinare (né ricevere) un boccale di birra al pub, ma poteva tranquillamente comprarne una cassa al supermercato. La proposta dell’articolo 90 della finanziaria 2007 interviene a sanare questa incongruenza.
La nuova finanziaria contiene anche un’altra norma molto importante: il divieto di vendita degli alcolici nelle aree di servizio autostradali. Il divieto, attualmente vigente dalle 22 alle 6, dovrebbe essere esteso all’intero arco della giornata e includere tutte le bevande alcoliche (e non solo quelle superalcoliche come attualmente accade). È chiaro che chi si mette alla guida potrà portarsi gli alcolici da casa (come già avviene), ma evitarne la disponibilità nei posti dove si transita, si circola e si guida può contribuire a diminuire il rischio di incidenti alcolcorrelati. È verosimile che la norma possa essere resa ancora più efficace con inasprimenti delle sanzioni per la guida in stato di ebbrezza o per livelli alcolemici rilevati superiori a quelli previsti alla guida: le sanzioni attuali sono giudicate da molti troppo basse, inferiori persino (come termine di paragone) a quelle (rispettabilissime) previste in caso di abbandono di un cane.
Lo spirito delle proposte non vuole penalizzare i giovani né impedire l’esercizio di una scelta, e ripercorre quello spirito che ha reso possibile l’adozione delle norme sul fumo, oggi apprezzate dalla maggior parte della popolazione. Per l’alcol, alla tutela alla salute si affianca un doveroso impegno relativo alla sicurezza: come chi fuma lo fa a proprio rischio e non deve danneggiare la salute degli altri, così chi decide di consumare alcolici non deve mettere in pericolo la salute e la sicurezza degli altri mettendosi alla guida in condizioni di mancata integrità psicofisica.
Le misure legislative di solito, nel tentativo di “regolare” i comportamenti, introducono una nuova cultura: una cultura del cambiamento che, come tutto ciò che ci è ignoto, può generare un’immediata, iniziale perplessità. È già successo nel 2001 con la Legge 125/2001, e probabilmente accadrà anche oggi con queste proposte. Ma sarebbe opportuno, ancor prima di valutarle, pensare ai problemi per cui le norme sono state realizzate e alle possibili vie di soluzione. Una critica potrà quindi essere assolutamente utile in questo senso, ma dovrà anche proporre soluzioni allo stato attuale urgenti. La speranza è che proposte e critiche contribuiscano comunque a fronteggiare e diminuire il rischio alcol-correlato e a favorire una cultura sociale e del bere informata, consapevole, responsabile, ispirata alla moderazione e che garantisca la salute e la sicurezza di tutti.