Strategie di screening per il cancro colonrettale: adesione dei pazienti e valenza diagnostica
Nereo Segnan, Unità di Epidemiologia - CPO Piemonte
L’elemento innovativo e forte di questo studio non
sta nella ‘scoperta’ di una nuova terapia per la cura del cancro, ma
piuttosto nell’analisi di quali strumenti, oggi disponibili, possano
essere utilizzati in modo ottimale per prevenire il cancro al
colon-retto e ridurne così l’incidenza sulla popolazione. Si tratta
quindi di una ricerca che va nella direzione di identificare gli
interventi più efficaci e fattibili, tra quelli già esistenti, che
possano avere un impatto immediato sulla prevalenza di questa malattia.
E una volta identificati, con approccio scientifico e una solida
valutazione di efficacia, di promuoverne l’utilizzo e l’applicazione
nelle politiche sanitarie. Questo è uno dei primi studi che affrontano
in maniera randomizzata l’adesione e il tasso di identificazione
diagnostica per diverse modalità di screening del cancro al colon-retto.
La nostra ricerca si è svolta in cinque contesti
diversi, in centri localizzati in città più grandi, come Torino, o più
piccole, come Rimini o Biella. I diversi contesti si sono riflessi sulle
modalità di campionamento, ma non sull’offerta dei test disponibili. Una
volta individuato il campione di popolazione, o attraverso i medici di
base o direttamente tra gli assistiti dei centri di riferimento
partecipanti, la modalità di offerta è stata la stessa, con l’obiettivo
di verificare l’adesione e la frequenza di carcinomi e di adenomi che
potessero essere diagnosticati. Hanno preso parte allo studio oltre 26
mila persone, tra i 55 e i 64 anni di età, suddivise in cinque gruppi di
diverse dimensioni a seconda del centro di riferimento.
Per verificare il tipo di adesione ai due tipi di
screening, la sigmoidoscopia o il test del sangue occulto nelle feci,
sono state utilizzate cinque diverse strategie: invio postale del kit
per l’analisi del sangue occulto, distribuzione dello stesso kit tramite
il medico di famiglia o un centro di screening, scelta del paziente tra
il test immunologico o una sigmoidoscopia, offerta di una sigmoidoscopia
da sola, offerta di una sigmoidoscopia seguita, dopo due anni, da un
test per il sangue occulto.
In termini di adesione, i risultati indicano che non
ci sono significative differenze tra le diverse modalità proposte. Per
quanto riguarda il test immunologico, l’invio per posta ha percentuali
di risposta solo di poco maggiori rispetto alla distribuzione eseguita
dal medico di base, una differenza che non giustifica l’investimento e
il costo dell’operazione stessa, dato che oltre il 70% dei kit spediti
non sono stati utilizzati. Anche le altre possibilità, l’offerta
dell’endoscopia in quanto tale o abbinata al test del sangue occulto
dopo due anni, non sembrano modificare in modo significativo l’adesione.
Lo studio ha però messo in evidenza le scelte del
paziente rispetto ai due test. Dato che lo screening colon-rettale mette
in gioco una serie di valori, di preferenze, di aspetti psicologici, era
necessario verificare se la possibilità di scegliere tra i due tipi di
test aumentava complessivamente l’adesione. Si è visto che, in valore
assoluto, non c’è stato alcun incremento dell’adesione da parte dei
pazienti (le percentuali sono molto simili, attorno al 28%). Piuttosto,
è interessante notare la diversa composizione del gruppo di pazienti che
scelgono il test: i più giovani e gli uomini preferiscono la
sigmoidoscopia mentre le persone più anziane e le donne preferiscono il
test del sangue occulto.
Una considerazione più generale rispetto all’offerta
del test è che si è potuto verificare che tutti questi tipi di approccio
sono praticabili, sia in contesti di grandi che di piccole città, con
importanti indicazioni sulla fattibilità dello screening.
Per quanto riguarda l’aspetto della rilevanza
diagnostica, invece, lo studio mirava a valutare la differenza tra la
capacità di evidenziare lesioni relativa ai due test. I risultati
indicano che la sigmoidoscopia è in grado di identificare più adenomi
avanzati. Si tratta di un fatto importante, perché non tutti gli adenomi
avanzati si trasformano in cancro, ma la loro rimozione, che avviene
proprio tramite endoscopia, può prevenire l’insorgenza del cancro e
quindi ridurne l’incidenza. La sigmoidoscopia identifica una proporzione
di adenomi avanzati che è circa tre volte quella identificata dal test
del sangue occulto. Questo significa che per avere la stessa proporzione
di lesioni avanzate identificate dalla sigmoidoscopia, sarebbe
necessario eseguire un numero di test per il sangue occulto da 2 a 4
volte superiore. Si avrebbe così una duplice ripercussione. In primo
luogo di natura economica: i costi della sigmoidoscopia sono certamente
più elevati di quelli del test immunologico, ma dover eseguire il test
immunologico molte più volte farebbe aumentare sensibilmente i costi
stessi portandoli ad un livello, se non superiore, a quelli
dell’endoscopia. Inoltre, si è verificato che la percentuale di adesione
di persone che si sottopongono al test immunologico due o più volte va
decrescendo, con un ritorno che va dal 50 al 70% della popolazione che
ha aderito in origine all’esecuzione del test. E’ chiaro quindi che la
capacità di identificazione delle lesioni diventa, se si utilizza il
solo strumento immunologico, progressivamente meno consistente.
In definitiva, quali indicazioni si possono trarre
dallo studio? Il dibattito su quali strategie adottare in Italia, in
questo momento è molto vivace. Le Regioni hanno scelto orientamenti
diversi: la Toscana e l’Emilia Romagna promuovono l’offerta del test per
il sangue occulto, nel Veneto vige un doppio regime. In Piemonte, anche
sulla base di questa ricerca, si è deciso di adottare un programma che
offre alla popolazione, al compimento del 58esimo anno di età, la
sigmoidoscopia in prima battuta. Chi però non accettasse di eseguirla,
può optare per il test del sangue occulto. Non solo, le persone più
anziane di 58 anni, che non siano ancora passate attraverso un programma
di screening endoscopico vengono invitate a fare il test del sangue
occulto fino ai 70 anni. Si tratta di una scelta mista che prende in
considerazione i fatti scientifici e i dati diagnostici, ma che al tempo
stesso valuta le risorse umane disponibili sul territorio e la
possibilità reale di offrire una forma di screening alla maggior parte
della popolazione sopra i 58 anni in tempi ragionevoli.
Randomized Trial of Different Screening
Strategies for Colorectal Cancer: Patient Response and Detection Rates
N. Segnan, C. Senore, B. Andreoni, A. Arrigoni, L. Bisanti, A. Cardelli, G. Castiglione, C. Crosta, R. DiPlacido, A. Ferrari, R. Ferraris, F. Ferrero, M. Fracchia, S. Gasperoni, G. Malfitana, S. Recchia, M. Risio, M. Rizzetto, G. Saracco, M. Spandre, D. Turco, P. Turco, M. Zappa, SCORE2 Working Group–Italy
Pubblicato sul
Journal of the National Cancer Institute, il 2 marzo 2005, (Vol. 97,
No. 5, Pag 347-357); abstract a libera consultazione.
Offering Patients Colorectal Cancer Screening
Un editoriale all’articolo di T.R. Church, sempre sul Journal of the National Cancer Institute, 2 marzo 2005, (Vol. 97, No. 5, Pag 328-329); articolo a libera consultazione.