English - Home page

ISS
Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro

Ricorso agli screening: strumenti a confronto

Marco Zappa - direttore dell’Osservatorio nazionale screening (Ons)

 

I risultati dell’indagine multiscopo dell’Istat 2004-2005 sui comportamenti della popolazione italiana femminile sulla diagnosi precoce sono particolarmente interessanti. Infatti registrano i cambiamenti avvenuti tra il 1999-2000 e il 2004-2005, quinquennio nel quale, per quanto riguarda lo screening cervicale e mammografico, abbiamo assistito alla diffusione dei programmi organizzati.

 

Sulla base delle indagini condotte dall’Osservatorio nazionale screening (Ons), in collaborazione con il Gruppo italiano per lo screening mammografico (Gisma) e il Gruppo italiano per lo screening cervicale (Gisci), alla fine degli anni Novanta l’estensione degli screening mammografici (espressa dalla percentuale di donne italiane residenti in un’area dove era attivo uno screening cervicale) era inferiore al 30%, mentre alla fine del 2004 superava il 70%. Per quanto riguarda lo screening cervicale si è passati dal 31,5% della fine del 1999 al 63,3% della fine 2004.

 

Lo screening mammografico

I risultati sono un po’ diversi a seconda del tipo programma considerato. Nel caso dello screening mammografico, questo aumento di estensione dei programmi organizzati ha avuto un impatto sui risultati dell’indagine multiscopo dell’Istat. Infatti la percentuale delle donne che ha eseguito almeno una mammografia nella vita (in assenza di sintomi) è passata dal 58,1% al 71%. Di queste, il 34,3% riferisce di aver eseguito l’esame in seguito all’invito del programma di screening. Questa percentuale supera il 40% nel Centro e nel Nord-Est, mentre riguarda solo il 14% delle donne residenti nell’Italia meridionale e insulare.

 

Permane quindi una differenza territoriale marcata ma, in quest’ottica, è interessante porre l’attenzione sui risultati della Basilicata. Alla fine degli anni Novanta, infatti, la percentuale di donne lucane che riferiva di aver fatto una mammografia era il 37,8%, un valore simile a quello delle altre Regioni meridionali. Nel 2004-2005 si è passati al 68,9%, un valore che la avvicina al Centro-Nord e che è comunque superiore a quello di tutte le altre Regioni del Sud Italia. È noto che la Basilicata è quella che prima e più di ogni altra Regione meridionale ha investito nei programmi organizzati di screening. Questi risultati dimostrano quindi l’efficacia delle scelte effettuate e, pur tenendo conto delle differenze e delle dimensioni territoriali, mi pare che indichino un percorso possibile.

 

Infine, è interessante notare come i programmi organizzati di screening mammografico riescano a favorire la riduzione delle disuguaglianze sociali di accesso. Infatti l’incremento maggiore si è registrato fra le donne con basso livello di istruzione, passate dal 51,8% al 65,5% (+13,7%, un incremento maggiore di quello che si registra negli altri livelli di titolo di studio, dove si ha un aumento di 9 punti percentuali). Questo effetto “riequilibratore” è particolarmente forte nelle classi di età più anziane. Pur tenendo conto degli effetti statistici di covarianza e degli andamenti di coorte, questi numeri sembrano così indicare un risultato reale ottenuto dai programmi di screening.

 

Lo screening cervicale

Per quanto riguarda lo screening cervicale, invece, gli andamenti sono più complessi. In generale, l’aumento di donne che riferiscono di aver fatto almeno un Pap test nella loro vita è molto più contenuto: si è passati infatti dal 68,7% al 70,9% (+2,2%). Anche qui permane un forte differenziale fra Nord–Centro e Sud (più dell’80% al Nord e meno del 50% in alcune grandi Regioni meridionali), specialmente nelle classi di età più giovani. Anche in questo caso, merita una segnalazione la Basilicata, che mostra il più grande aumento differenziale di utilizzo (dal 44,2% del 1999-2000 al 63,7% del 2004-2005).

 

Il dato positivo è che aumenta, seppur leggermente, la frequenza di chi fa l’esame nell’intervallo raccomandato, ovvero ogni 3 anni (dal 10,5% al 13,7%). Rimane comunque forte il dato di un sovrautilizzo di questo esame nella quota di donne che effettuano l’esame (circa il 40% esegue l’esame ogni anno). Probabilmente questo dato non permette di apprezzare completamente l’effetto dei programmi di screening: solo il 20% delle donne riferisce di aver fatto l’esame in seguito all’invito del programma di screening. È possibile che questa stima sia sottostimata se altri Pap test, fatti spontaneamente o su consiglio di un medico, vengono eseguiti nell’intervallo prestabilito di 3 anni. È interessante notare comunque come anche in questo caso rimanga la tendenza al riequilibrio dei programmi di screening. Infatti proprio fra le donne con titoli di studio bassi si registra una percentuale più alta di test eseguiti in seguito all’invito del programma organizzato.

 

Integrare gli strumenti d’indagine

L’ultima considerazione riguarda lo strumento utilizzato e il confronto con altre rilevazioni, universali e campionarie, effettuate sugli stessi argomenti. L’indagine Istat si basa, evidentemente, su quanto riferito dalla donna. È possibile che la risposta registrata risenta di distorsioni percettive, per esempio sulla frequenza degli esami (in genere si tende a riportare una frequenza maggiore di quella reale) o sulle motivazioni che l’hanno determinata (si può rispondere a un invito perché magari un medico ha consigliato in tal senso).

 

D’altra parte abbiamo oggi a disposizione un’altra importante indagine campionaria nazionale, Passi, che pone più o meno le stesse domande, anche se su un campione statistico di minori dimensioni. Inoltre, almeno in alcune Regioni, si hanno a disposizione (nel senso che la qualità dei dati può permettere un’analisi soddisfacente) gli archivi di tutte le prestazioni ambulatoriali (dunque anche degli esami tipo Pap test o mammografia) effettuate in strutture pubbliche o convenzionate. Sarebbe molto interessante mettere a confronto, magari a livello di singole Regioni, queste diverse fonti informative, per cercare di capire da dove nascono le eventuali incongruenze. Una strategia che potrebbe permettere di avere parametri affidabili ed eventualmente di modificare gli strumenti di indagine.