Diagnosi e biologia
Tuttora, una diagnosi precisa della maggior parte delle demenze è molto
difficile, e spesso la diagnosi è possibile solo con l’analisi dei tessuti
cerebrali e quindi post-mortem. E’ chiara la necessità di giungere a test
diagnostici che permettano di identificare l’insorgenza della malattia nella
fase più precoce possibile, per avviare qualsiasi tentativo di trattamento.
La comprensione dei meccanismi di sviluppo delle demenze è fortemente
aumentata negli ultimi 20-30 anni, grazie alla molteplicità degli approcci
sperimentati. La ricerca nel campo della neurochimica e della neurobiologia
hanno permesso di progredire nella comprensione delle cause di demenza e
l’uso di strumenti analitici, come l’immagine funzionale, hanno permesso
l’identificazione di possibili marcatori caratteristici delle demenze.
La ricerca di possibili trattamenti (le terapie disponibili attualmente
possono solo rallentare la malattia) è incentrata sulle funzioni
neurotrasmettitrici, sui livelli di produzione e deposizione di amiloidi, e
sulla riduzione di fattori secondari di rischio come l’ipertensione, la
depressione e l’ipolipidemia. I risultati sono però talmente recenti, che la
valutazione clinica di possibili trattamenti è solo all’inizio.
In particolare gli studi si sono concentrati su tre approcci diversi ma
complementari, quello della neuropatologia, della neurochimica e della
biologia molecolare.
Neuropatologia
Gli sforzi neuropatologici vanno nella direzione di descrivere le
modificazioni delle componenti cerebrali, le lesioni e gli aggregati che si
formano in seguito allo sviluppo della malattia. Gli studi istochimici hanno
permesso di individuare queste modificazioni e lesioni e di riclassificare
le demenze sulla base dei cambiamenti neuropatologici piuttosto che dei
sintomi clinici. Nella maggior parte dei casi, la demenza presenta come
segni caratteristici un accumulo aberrante nei tessuti cerebrali di
proteine. Anche in quelle forme in cui la malattia non è direttamente
correlata all’accumulo proteico (come nella Corea di Huntington) è comunque
possibile che la proteina mutata causi accumuli e inclusioni tossiche.
Si sono così distinte: le
sinucleopatologie, caratterizzate da aggregati di sinucleina, che
includono il morbo di Parkinson, la demenza con i corpi di Lewy, e l’atrofia
multisistemica; le taupatologie (aggregazioni neuronali della
proteina Tau) che includono la demenza del lobo frontale e la paralisi
sopranucleare progressiva; le amiloidopatologie (deposizioni di
proteine amiloidi) che comprendono la malattia di Alzheimer (che però fa
parte anche delle taupatologie) e le encefalopatie trasmissibili. La
riclassificazione è importante ai fini terapeutici, perché un trattamento
finalizzato ad esempio a prevenire l’accumulo di una certa proteina può
essere efficace per tutte le demenze che rientrano in quella categoria.
Neurochimica
L’attenzione è stata orientata fortemente all’identificazione del ruolo dei
neurotrasmettitori, molecole la cui carenza o assenza sembra giocare un
ruolo fondamentale nello sviluppo della malattia. Nel caso della malattia di
Alzheimer, ad esempio, questo ha portato allo sviluppo di trattamenti
parziali con inibitori delle colinesterasi, enzimi che distruggono
l'acetilcolina, il neurotrasmettitore carente nel cervello dei malati di
Alzheimer.
Biologia molecolare
La vera speranza di arrivare sia a metodi di diagnosi che di trattamento
effettivo delle demenze viene dagli studi molecolari volti a identificare i
complessi fattori genetici determinanti lo sviluppo delle malattie. Per
quanto riguarda la diagnosi, i progressi nel campo molecolare hanno portato
in qualche caso, in particolare in quello della demenza precoce autosomica
dominante (Corea di Huntington), allo sviluppo di test diagnostici e
predittivi. In altri casi, come nella malattia di Alzheimer, nonostante si
conoscano abbastanza bene i processi di formazione di due lesioni tipiche,
le placche amiloidi e gli aggregati di proteina tau, non è ancora possibile
stabilire una correlazione tra la presenza di un certo allele e lo sviluppo
della malattia, perché la componente genetica è solo uno dei fattori di
rischio.
L’obiettivo delle ricerche è quindi quello di combinare l’indagine permessa
dallo sviluppo di tecniche di immagini cerebrali (TAC e NMR) con i test
neuropsicologici, gli screening genetici e gli alberi genealogici, per
individuare precocemente la malattia e associare la sua progressione ai
cambiamenti e alle modificazioni che avvengono in sede neuronale.