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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Vitamina D3 e durata ed esito dell’ospedalizzazione in pazienti con COVID-19

Sono state formulate varie ipotesi sulle proprietà immunomodulanti e antinfiammatorie della vitamina D, auspicando un possibile beneficio per i pazienti con COVID-19. Tuttavia il vantaggio della supplementazione con vitamina D nella prevenzione e nel trattamento della infezione da SARS-CoV-2 non è, attualmente, supportato da studi sperimentali adeguati.

 

A febbraio 2021 sul Journal of the American Medical Association (JAMA) è stato pubblicato uno studio clinico randomizzato per valutare l’effetto di una singola alta dose di vitamina D3 sulla durata di degenza in pazienti ospedalizzati con infezione da SARS-CoV-2 di grado moderato o grave. Lo studio clinico randomizzato in doppio cieco è stato condotto su 240 pazienti adulti ospedalizzati presso due ospedali di San Paolo (Brasile), con diagnosi confermata di COVID-19.

 

Il disegno dello studio prevedeva il confronto di 2 gruppi randomizzati in trattamento con:

  • unica dose orale di 200.000 UI (Unità Internazionali) di vitamina D3 in una soluzione di 10 ml di olio di arachidi
  • unica dose orale di 10 ml di olio di arachidi.

Entrambe le soluzioni presentavano le stesse caratteristiche organolettiche (colore, gusto, odore, e consistenza), in modo che sia i pazienti che i clinici non fossero a conoscenza del trattamento a cui ciascun soggetto era stato assegnato. L’endpoint primario dello studio (cioè il risultato principale che si voleva verificare) era il periodo di degenza calcolato come il numero di giorni in cui il paziente risultava ospedalizzato dalla data di randomizzazione (data di assegnazione casuale al gruppo di trattamento) alla data di dimissione. Gli endpoint secondari (altri risultati di interesse) includevano la mortalità, intesa come numero di pazienti deceduti durante l’ospedalizzazione, l’eventuale ricovero in terapia intensiva o la necessità di ventilazione meccanica, e la misurazione di livelli sierici di sostanze quali 25-idrossi-vitamina D, calcio totale e di PCR (Proteina C Reattiva).

 

Uno dei principali limiti dell’indagine, sottolineato dagli sperimentatori, è relativo alla ridotta dimensione del campione, che determina una bassa potenza dello studio, non sufficiente a mettere in evidenza piccole differenze tra gruppi.

 

Inoltre, l’inclusione di pazienti ospedalizzati a cui la vitamina D è stata somministrata mediamente 10 giorni dopo la comparsa dei primi sintomi di infezione non permette di valutare gli effetti di una integrazione precoce di vitamina D nei pazienti con COVID-19 di grado lieve o moderato.

 

Durante lo studio è stata evidenziata una buona tollerabilità relativamente all’assunzione di un’alta dose di vitamina D e non sono state riscontrate reazioni avverse acute gravi. Tuttavia, in base alle evidenze ottenute dallo studio, gli autori concludono che una singola dose elevata di vitamina D3 in pazienti ospedalizzati con COVID-19 non ha ridotto significativamente la durata della degenza ospedaliera rispetto al trattamento con placebo, né i decessi, gli ingressi in terapia intensiva o la necessità di ventilazione meccanica. Per questi motivi non è stato riscontrato un vantaggio clinicamente rilevante nell'uso della vitamina D3 per il trattamento di forme moderate o gravi di COVID-19.

 

Conclusioni

Sono sempre più numerosi gli studi clinici presenti in letteratura riguardanti trattamenti sia terapeutici che di prevenzione per il COVID-19. In relazione alla attuale pandemia si è potuto riscontrare come nel caso di alcune riviste scientifiche le linee editoriali abbiano optato, in alcuni casi, per la valorizzazione e la pubblicazione di studi che nella maggior parte dei casi presentano risultati positivi non permettendo in questo modo una valutazione completa delle evidenze prodotte, provocando un cosidetto publication bias.

 

Al contrario la pubblicazione di studi con esiti negativi offre la possibilità di acquisire informazioni utili per la sanità pubblica e stimolare ulteriori ricerche per aumentare le conoscenze a disposizione dei clinici, che possono basare le scelte terapeutiche su solide evidenze scientifiche realmente utili per la salute del paziente. In un quadro emergenziale come quello delineato dall’infezione da SARS-CoV-2 tale necessità riveste un’importanza fondamentale soprattutto nei casi clinicamente severi.

 

 

Data di creazione della pagina: 4 marzo 2021

Testo scritto da: Francesca Menniti-Ippolito¹, Ilaria Ippoliti¹, Roberto Da Cas¹, Augusto Pastorelli², Concetta Boniglia², Paolo Stacchini², Marco Silano² – ISS
¹ Centro Nazionale per la Valutazione e la Ricerca preclinica e clinica del Farmaco, ISS
² Dipartimento Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità Pubblica Veterinaria, ISS