English - Home page

ISS
Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro

Attività fisica: parametri e livelli consigliati e ricadute sullo stato di salute

Chiara Cadeddu (Segreteria scientifica di presidenza, Iss) e Angela Spinelli (Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute, Iss)

 

7 giugno 2018 - L’attività fisica (cioè qualunque sforzo esercitato dal sistema muscolo-scheletrico che si traduce in un consumo di energia superiore a quello in condizioni di riposo [1]) costituisce uno degli strumenti più importanti per la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili (Mcnt). È ampiamente dimostrato come essa sia in grado di sostenere e rafforzare il benessere psico-fisico e di migliorare la qualità della vita, in entrambi i sessi e a tutte le età [2-4].

 

Parametri e livelli

Le ultime Global recommendations on physical activity for health dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) pubblicate nel 2010 [5] forniscono indicazioni sulla pratica dell’attività fisica per 3 fasce di età (5-17 anni, 18-64 anni, ultra64enni), secondo parametri e livelli ben definiti.

 

I parametri cui le raccomandazioni fanno riferimento per definire i livelli di attività fisica sono: il tipo (quale attività fisica), la durata (per quanto tempo), la frequenza (quante volte), il volume (quanta attività fisica in totale) e l’intensità (quanta fatica). Quest’ultima si suddivide a sua volta in moderata e vigorosa.

 

Oltre a differenziare i livelli di attività fisica ottimali per fasce di età, le attuali raccomandazioni Oms sottolineano i benefici di un’attività a intensità moderata per la salute e la possibilità di cumulare i livelli consigliati, frazionando gli esercizi per una durata minima di 10 minuti.

 

L’intensità moderata, utile per ottenere i benefici sulla salute, è definita come quella in grado di aumentare la frequenza cardiaca e determinare una sensazione soggettiva lieve di mancanza di fiato e di riscaldamento, permettendo di incrementare il metabolismo di 3-6 volte rispetto alla situazione di riposo [3,6,7]. Un’attività fisica di intensità moderata si può raggiungere praticamente con tutte le attività sportive e con una buona parte delle attività quotidiane. L’intensità elevata si ottiene invece quando sopraggiungono sudorazione e fiato corto [3,7].

 

Per quanto riguarda le varie fasce d’età, nei bambini e negli adolescenti sani (5-17 anni) l’attività fisica include gioco, esercizio strutturato, sport e dovrebbe essere di tipo prevalentemente aerobico. Le raccomandazioni per essi indicano la pratica di almeno 60 minuti al giorno di attività fisica di intensità da moderata a vigorosa, da raggiungere in maniera graduale, e attività che rafforzino l’apparato muscolo-scheletrico almeno 3 volte a settimana.

 

L’attività fisica negli adulti (18-64 anni) include attività svolte nel tempo libero, esercizio strutturato, sport e dovrebbe essere di tipo prevalentemente aerobico. Per rafforzare gli apparati cardiorespiratorio e osteomuscolare e ridurre il rischio di Mcnt e di depressione in questa fascia di età, l’Oms raccomanda di praticare a settimana almeno 150 minuti di attività fisica aerobica moderata, oppure almeno 75 minuti di attività fisica aerobica vigorosa, oppure una combinazione equivalente di attività moderata e vigorosa. Dovrebbero essere fatte attività di rafforzamento muscolare per 2 o più volte a settimana.

 

Queste raccomandazioni e attività da svolgere valgono anche per le persone ultra 64enni, con beneficio per non solo per la salute e ma anche sul declino cognitivo. Gli anziani con difficoltà di mobilità dovrebbero svolgere esercizi per migliorare l’equilibrio e prevenire le cadute 3 o più volte a settimana. Coloro che non riescono a raggiungere i livelli di attività fisica raccomandati per problemi di salute, dovrebbero comunque cercare di essere attivi fisicamente.

 

Le ricadute dell’attività fisica sulla salute

Dal punto di vista delle ricadute sullo stato di salute, negli ultimi 10 anni è stato confermato da numerosi studi che una vita sedentaria agisce come potenziale fattore di rischio per molte condizioni croniche, tra cui la sindrome metabolica, il diabete mellito di tipo 2, e patologie cardiovascolari, oltre che per la mortalità in generale [8,9]. Tale considerazione va tenuta particolarmente presente, soprattutto in relazione all’elevata prevalenza dei comportamenti sedentari nel nostro Paese e tanto più per la fascia d’età adulta, in cui la maggior parte del tempo viene trascorso proprio seduti, anche durante l’orario di lavoro [10,11]. È stato osservato che una riduzione del rischio di mortalità si ottiene già praticando 25-35 minuti di attività fisica quotidiana di moderata intensità (che equivale ai livelli base raccomandati) rispetto alla sedentarietà. A confronto con altri fattori di rischio per cattiva salute, l’incremento del 58% del rischio di mortalità riscontrato in coloro che restano seduti per più di 8 ore al giorno e che non praticano attività fisica, appare addirittura simile a quello associato al fumo di sigaretta [12] e all’obesità [13].

 

Un’analisi di 6 ampi studi di coorte ha mostrato che la pratica di attività fisica a un livello equivalente a una camminata veloce fino a 75 minuti alla settimana si associa a un guadagno di aspettativa di vita di 1,8 anni rispetto alla non pratica. Raddoppiando il tempo dedicato (150 minuti di camminata veloce alla settimana) il guadagno sale a 3,4-4,5 anni [14].

 

I risultati di numerosi studi osservazionali indicano che l’attività fisica è in grado di ridurre i rischi legati all’incidenza di diverse patologie non trasmissibili, come il diabete mellito di tipo 2, le malattie cardiovascolari, l’ictus, alcuni tipi di tumore, con un beneficio stimato che si avvicina in alcuni casi al 50-70% [15].

 

Patologie per le quali è dimostrata una riduzione del rischio grazie all’attività fisica (modificata da [16]).

 

 

L’attività fisica nella prevenzione primaria e secondaria

La protezione cardiovascolare dell’attività fisica si manifesta anche in presenza di malattia cardiaca o di altre patologie. Nelle forme lievi-moderate di scompenso, l’attività fisica migliora la funzionalità cardiorespiratoria e “allena” l’organismo mantenendo un buon controllo della frequenza cardiaca e dei valori di pressione arteriosa. Sono descritti anche effetti positivi su fibrinolisi, viscosità ematica e metabolismo dei carboidrati [17].

Dopo un evento cardiovascolare acuto, la pratica dell’attività fisica consente un recupero più rapido, con ripresa delle normali attività, compresa quella lavorativa. È stata riscontrata una riduzione dell’ischemia indotta da sforzo in pazienti con malattia coronarica attraverso brevi periodi di esercizio seguiti dal cosiddetto fenomeno del “warm-up” che, come equivalente del precondizionamento ischemico, sembra proteggere dalle morti intraospedaliere e dallo shock cariogeno [18,19].

 

I benefici dell’attività fisica sul sistema cardiovascolare in prevenzione secondaria hanno permesso una riduzione di circa il 20% della mortalità totale e del 26% di quella cardiovascolare nei pazienti sottoposti a training rispetto al gruppo di controllo, senza differenze significative tra i programmi basati sul solo esercizio fisico e quelli nei quali c’era supporto nutrizionale e psicologico [20].

 

Dopo un infarto acuto del miocardio, si osserva nei pazienti anziani che svolgono regolarmente attività fisica un miglioramento della funzione cardiaca e un incremento del consumo di ossigeno e della capacità contrattile del ventricolo sinistro che si traduce in un aumento della sopravvivenza [21,22].

 

Durante l’attività fisica predomina il tono parasimpatico, che è protettivo rispetto all’insorgenza di aritmie e alla variabilità del ritmo cardiaco. Anche se il tutto si traduce in una rallentata progressione dello scompenso con decremento della morbilità e della mortalità, sono pochi i pazienti cardiopatici che partecipano a programmi di attività fisica [7].

 

Una recente metanalisi del National Cancer Insitute statunitense ha messo in relazione il grado di attività fisica con l'incidenza di diverse forme di neoplasia in 1,4 milioni di persone che avevano preso parte a 12 studi europei e americani dal 1987 al 2004. Dopo un follow-up medio di 11 anni, è emerso che i soggetti attivi presentavano un'incidenza più bassa di 13 tipi di tumore sui 26 presi in considerazione, in particolare di adenocarcinoma dell'esofago (-42%), di tumore del fegato (-27%), del polmone (-26%), del rene (-23%), dello stomaco a livello del cardias (-22%), dell'endometrio (-21%), della leucemia mieloide (-20%), di mieloma (-17%), di tumore del colon (-16%), di tumori della zona testa-collo (-15%), di tumore del retto (-3%), della vescica (-13%) e della mammella (-10%). L'effetto protettivo dell'attività fisica si è confermato anche dopo aver corretto i risultati per le abitudini alimentari e lo stato di fumatore. Complessivamente, chi faceva attività fisica aveva una riduzione del rischio oncologico del 7% (per un quarto dei tumori questa riduzione superava il 20% [23].

 

Riferimenti

  1. World Health Organization. Physical activity, fact sheet, febbraio 2018.
  2. National Institute for Health and Care Excellence. Physical activity in the workplace. Public health guideline, PH13, 2008 (pdf 178 kb).
  3. WHO Regional Office for Europe. Physical Activity and health in Europe: evidence for action. Cavill N, Kahlmeier S, Racioppi F (eds), Who, Copenhagen, 2006 (pdf 620 kb). Versione italiana: Organizzazione mondiale della sanità, Ufficio regionale per l’Europa. Attività fisica e salute in Europa: conoscere per agire. Armando editore, Roma, 2007.
  4. Bull F, Armstrong TP, et al. Physical inactivity, Chapter 10. In: Ezzati M, Lopez AD, et al (eds). Comparative quantification of health risks. Global and regional burden of disease attributable to selected major risk factors, Volume I. Who, Geneva, 2oo4;p 729-881 (pdf 9,4 Mb).
  5. World Health Organization. Global recommendations on physical activity for health. WHO, Geneva, 2010 (pdf 1,8 Mb).
  6. Sylvia LG, Bernstein EE, et al. A practical guide to measuring physical activity. J Acad Nutr Diet 2014;114:199-208 (pdf 283 kb).
  7. Fourth Joint Task Force of the European Society of Cardiology and other Societes on cardiovascular disease prevention in clinical practice (constituted by representatives of nine societies and by invited experts). European guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice: executive summary. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil 2007;14(Suppl 2):E1-40.
  8. Grøntved A, Hu FB. Television viewing and risk of type 2 diabetes, cardiovascular disease, and all cause mortality: a meta-analysis. JAMA 2011;305:2448-55 (pdf 632 kb).
  9. Edwardson CL, Gorely T, et al. Association of sedentary behaviour with metabolic syndrome: a meta-analysis. PLoS One 2012;7:e34916 (251 kb).
  10. Matthews CE, Chen KY, et al. Amount of time spent in sedentary behaviors in the United States, 2003-2004. Am J Epidemiol 2008;167:875-81 (pdf 134 kb).
  11. Hansen BH, Kolle E, et al. Accelerometer-determined physical activity in adults and older people. Med Sci Sports Exerc 2012;44:266-72.
  12. Schumacher M, Rücker G, Schwarzer G. Meta-analysis and the Surgeon General’s report on smoking and health. N Engl J Med 2014;370:186-8 (pdf 426 kb).
  13. Prospective Study Collaboration. Body-mass index and cause-specific mortality in 900 000 adults: collaborative analyses of 57 prospective studies. Lancet 2009;373:108396 (pdf 402 kb).
  14. Moore SC, Patel AV, et al. Leisure time physical activity of moderate to vigorous intensity and mortality: a large pooled cohort analysis. PLoS Med 2012;9:e1001335 (pdf 291 kb).
  15. Nunan D, Mahtani KR, et al. Physical activity for the prevention and treatment of major chronic disease: an overview of systematic reviews. Syst Rev 2013;2:56 (pdf 261 kb).
  16. Nunan D. Doctors should be able to prescribe exercise like a drug. BMJ 2016;353:i2468.
  17. Vona M, Giampaoli S, et al. Esercizio fisico e malattie cardiovascolari: aspetti clinici ed epidemiologici. Med Sport 2006;59:177-85.
  18. Longobardi G, Abete P, et al. “Warm-up” phenomenon in adult and elderly patients with coronary artery disease: further evidence of the loss of “ischemic preconditioning” in the aging heart. J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2000;55:M124-9 (pdf 64,7 kb).
  19. Abete P, Cacciatore F, et al. Joint effect of physical activity and body mass index on mortality for acute myocardial infarction in the elderly: role of preinfarction angina as equivalent of ischemic preconditioning. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil 2009;16:73-9.
  20. Taylor RS, Brown A, et al. Exercise-based rehabilitation for patients with coronary heart disease: systematic review and meta-analysis of randomized controlled trials. Am J Med 2004;116:682-92.
  21. Rengo G, Galasso G, et al. An active lifestyle improves outcome of primary angioplasty in elderly patients with acute myocardial infarction. Am Heart J 2007;154:352-60.
  22. Rengo G, Galasso G, et al. An active lifestyle prior to coronary surgery is associated with improved survival in elderly patients. J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2010;65:758-63.
  23. Moore SC, Lee IM, et al. Association of leisure-time activity with risk of 26 types of cancer in 1.44 million adults. JAMA Intern Med 2016;176:816-25 (pdf 1,4 Mb).

 

Risorse utili