English - Home page

ISS
Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro

Rapporto sull’evento nascita in Italia (CeDAP) – anno 2023

 

Nel 2023 prosegue in tutta Italia il calo delle nascite, scese a 382.621 rispetto alle 393.997 registrate nel 2022 e le 401.087 registrate nel 2021. Ciò è in larga misura effetto del cambiamento della struttura per età della popolazione femminile e solo in parte della diminuzione della inclinazione ad avere figli. È quanto emerge dal rapporto “Certificato di assistenza al parto (CeDAP) - Analisi dell’evento nascita - Anno 2023” pubblicato a febbraio 2025 dall’Ufficio di Statistica del Ministero della Salute.

 

L’indagine 2023 relativa al flusso informativo del CeDAP ha coinvolto un totale di 354 punti nascita, registrando un numero di parti in ospedale analoghi a quelli rilevati dalle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) e un numero di nati vivi sovrapponibile a quello dei nati registrati, nello stesso anno, presso le anagrafi comunali.

 

Il rapporto in sintesi

Dai dati emerge che il 90,1% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 9,8% nelle case di cura e solo lo 0,13% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio, ecc). Il 61,7% dei parti viene assistito in strutture dove avvengono almeno 1000 parti annui mentre l’8,0% ha ancora luogo in strutture che assistono meno di 500 parti annui.

 

Nel 2023, in linea con gli anni precedenti, il 20,1% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. Questa proporzione è maggiore al Centro Nord dove è massima la presenza straniera, in particolare in Emilia-Romagna, Liguria e Marche dove oltre il 30% delle nascite è riferito a madri straniere. Il 29,6% delle donne di cittadinanza non italiana che hanno partorito nel 2023 è di origine africana, il 17,9% proviene da Paesi dell’Unione europea (UE), il 21,0% e l’8,3% rispettivamente sono di origine Asiatica e Sud Americana.

 

L’età media delle madri al parto è di 33,2 anni tra le italiane e 31,2 anni tra le cittadine straniere. L’età media al primo figlio è per le donne straniere pari a 29,2 anni e superiore a 31 anni per le italiane, con lievi variazioni tra Nord e Sud del Paese.

 

I dati 2023 sottolineano che il 43,3% delle madri italiane ha una scolarità medio alta, il 17,4% medio bassa e il 39,3% ha conseguito la laurea mentre tra le donne straniere prevale una scolarità medio bassa (41,2%). L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 67,9% delle madri italiane ha un’occupazione lavorativa, il 17,2% sono casalinghe e il 13,0% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione mentre tra le donne straniere la percentuale di casalinghe è pari al 50,1%. 

 

Nel 92,9% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate durante la gravidanza è superiore a 4, valore raccomandato dalla linea guida nazionale “Gravidanza fisiologica”, mentre nel 76,7% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie, a conferma del consolidamento di una pratica che si discosta notevolmente dalle 2 ecografie raccomandate dalla linea guida nazionale e da quanto previsto dai livelli essenziali di assistenza. Il numero medio di ecografie effettuato dalle donne residenti nel Nord del Paese è inferiore rispetto a quello rilevato nelle Regioni del Sud e, come nei precedenti anni, il numero non presenta differenze in caso di gravidanza fisiologica o patologica a conferma di una inappropriatezza prescrittiva, spia di un eccesso di medicalizzazione dell’assistenza.

 

Il momento del primo contatto con un professionista sanitario durante la gravidanza è un indicatore di qualità dell’assistenza prenatale. La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita oltre il primo trimestre di gravidanza è pari a 1,8%, valore che sale al 10,6% per le donne straniere. Il dato medio presenta una forte variabilità per livello di istruzione materno, infatti il 12,2% delle donne con titolo di studio elementare o senza alcun titolo effettua la prima visita tardivamente, contro il 3,1% delle donne con scolarità alta. Anche le donne di età inferiore ai 20 anni hanno maggiore difficoltà ad accedere tempestivamente all’assistenza in gravidanza, in particolare il 2,6% non effettua alcun controllo e il 12,7% si rivolge tardivamente ai servizi (dopo l’11° settimana di gestazione). 

 

Nell’ambito delle tecniche invasive utilizzate per la diagnosi prenatale sono state effettuate in media 2,0 amniocentesi ogni 100 parti. A livello nazionale alle donne con più di 40 anni il prelievo del liquido amniotico è stato effettuato nel 5,17% dei casi, evidenziando un trend decrescente nell’ultimo triennio, verosimilmente attribuibile al maggior ricorso agli screening del primo trimestre, come raccomandato dalle linee guida.

 

Il ricorso a una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta, in media, in 3,9 gravidanze ogni 100, in considerevole crescita rispetto agli anni passati. La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET) (47,7%), seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI) (35,4%). Nel 50,4% dei concepimenti da PMA è stato effettuato un cesareo e la percentuale di parti plurimi è stata maggiore (6,9%) di quella registrata nel totale delle gravidanze (1,5%), seppur in diminuzione rispetto agli anni precedenti grazie all’avanzamento delle tecniche e alla politica del “single embryo transfer”.

 

Il 93,8% dei parti avviene a termine tra la 37° e la 42° settimana, tre quarti dei parti pretermine (6,3% del totale) sono tardivi (tra 32 e 36 settimane) con migliori esiti perinatali rispetto a quelli che avvengono prima di 32 settimane di gestazione. Il dato italiano relativo ai parti pretermine si mantiene tra i più bassi in Europa.

 

Al momento del parto vaginale, la donna ha accanto a sé nel 94,84% dei casi il padre del bambino, nel 4,26% un familiare e nello 0,90 un’altra persona di fiducia.

 

Nonostante il trend in diminuzione della proporzione di tagli cesarei, in Italia si conferma un ricorso eccessivo a tale pratica. Nel 2023 il 30,3% dei parti è avvenuto con taglio cesareo, con notevole variabilità tra regioni compresa tra il 17% della Toscana e il 42,7% della Campania. La tendenza alla diminuzione, in linea con le indicazioni delle “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo” è costante ma le regioni del Sud presentano un forte ritardo rispetto a quelle del Nord che, nella maggioranza dei casi, hanno già raggiunto valori in linea con quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

 

Rispetto al luogo del parto, le case di cura accreditate continuano a presentare quote significativamente maggiori di cesarei (45,0%) rispetto agli ospedali pubblici (28,7%); i punti nascita con meno di 500 parti annui continuano a ricorrere più spesso al cesareo (32,6%) rispetto ai presidi che assistono 1000-2499 parti annui (30,4%)e quelli che superano i 2500 parti (30,7%). Si tratta di un dato in controtendenza rispetto all’atteso perché le gravidanze a più alta complessità assistenziale, che esitano più spesso in taglio cesareo, vengono assistite nei punti nascita con volumi di parti maggiori mentre nei punti nascita più piccoli, specie in quelli sotto i 500 parti annui, vengono assistite le gravidanze fisiologiche. Il cesareo si conferma più frequente nelle donne con cittadinanza italiana (31,0%) rispetto alle donne straniere (27,2%). Come per le precedenti edizioni del rapporto, il fenomeno del ricorso al taglio cesareo è stato analizzato utilizzando la classificazione di Robson, raccomandata dall’OMS come standard globale per la valutazione, il monitoraggio e il benchmarking longitudinale e trasversale del ricorso al cesareo. I parti classificabili secondo Robson corrispondono all’89,4% del totale dei parti avvenuti nei punti nascita pubblici, equiparati e privati accreditati, la Regione Lazio in toto e il 10,6% dei parti di altre regioni sono stati esclusi dalle analisi per incompleta o errata compilazione delle variabili utilizzate per la classificazione. In Italia sono ancora troppo frequenti i cesarei nella classe 1 di Robson che include le donne alla prima gravidanza a termine con presentazione cefalica (25% dei parti totali nel 2023). La classe 5, che riguarda le donne già cesarizzate, pur coprendo un minor numero di parti (11,7% dei parti totali nel 2023), è la classe che contribuisce maggiormente al numero complessivo di cesarei pari all’82,2%, con forte variabilità tra regioni (59,0% nel Friuli Venezia Giulia e 96,1% in Campania). Queste analisi, monitorando l’andamento dei cesarei nel tempo nelle diverse classi e favorendo il confronto tra regioni e punti nascita, permettono di evidenziare le aree critiche suscettibili di miglioramento. L’adozione della classificazione di Robson ha facilitato la riduzione dei cesarei e una migliore pratica ostetrica in molteplici punti nascita italiani che hanno dimostrato la sua efficacia nella pratica [1].

 

Lo 0,9% dei nati ha un peso inferiore a 1500 grammi e il 6,1% tra 1500 e 2500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 98,5% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10, indicativo di buone condizioni di salute. Il CeDAP non è in grado di rilevare accuratamente le cause della natimortalità perché viene compilato prima che siano disponibili informazioni utili all’inquadramento diagnostico, come gli esami autoptici. Per questo motivo le cause della natimortalità sono identificate dai CedDAP in meno di 4 casi su 10.

 

Il Rapporto nazionale CeDAP si conferma uno dei flussi informativi più preziosi per monitorare e descrivere nel dettaglio le caratteristiche socio-demografiche delle donne che partoriscono, le modalità assistenziali alla gravidanza e al parto e le caratteristiche organizzative della rete nazionale dei punti nascita. L’atteso aggiornamento del suo tracciato record permetterà di disporre di informazioni preziose ancora indisponibili, come la percentuale di parti assistiti con analgesia epidurale o la quota di episiotomie. La disponibilità di dati attendibili e accurati è essenziale per disporre della conoscenza utile a indirizzare le politiche di sanità pubblica in ambito materno e perinatale, sia a livello nazionale che regionale.

 

Riferimenti

  1. Di Pasquo E, Ricciardi P, Valenti A, Fieni S, Ghi T, Frusca T. Achieving an appropriate cesarean birth (CB) rate and analyzing the changes using the Robson Ten-Group Classification System (TGCS): Lessons from a Tertiary Care Hospital in Italy. Birth. 2022; 49: 430–439. doi:10.1111/birt.12612
Risorse utili
  • scarica il documento completo “Certificato di assistenza al parto (CeDAP) - Analisi dell’evento nascita - Anno 2023” e le Tabelle in formato xls sul sito del ministero della Salute

 

Data di pubblicazione della pagina: 13 febbraio 2025

Testo scritto da: Serena Donati – Reparto Salute della donna e dell’età evolutiva, Centro Nazionale per la Prevenzione delle malattie e la Promozione della Salute, CNaPPS – ISS