Rapporto sull’evento nascita in Italia (CeDAP) – anno 2024
Nel 2024 prosegue in tutta Italia il calo delle nascite, scese a 370.577 rispetto alle 382.621 registrate nel 2023 e alle 393.997 registrate nel 2022. Ciò è in larga misura effetto del cambiamento della struttura per età della popolazione femminile e in parte della diminuzione della propensione ad avere figli. È quanto emerge dal rapporto “Certificato di assistenza al parto (CeDAP) - Analisi dell’evento nascita - Anno 2024” pubblicato a dicembre 2025 dall’Ufficio di Statistica del Ministero della Salute.
L’indagine 2024 relativa al flusso informativo del CeDAP ha coinvolto un totale di 349 punti nascita, con un numero di nati vivi superiore a quello dei nati registrati, nello stesso anno, presso le anagrafi comunali.
Il rapporto in sintesi
Dai dati emerge che il 90,7% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 9,1% nelle case di cura accreditate e solo lo 0,12% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio, etc). Nelle Regioni in cui è rilevante la presenza di strutture private accreditate rispetto alle pubbliche, le percentuali sono sostanzialmente diverse. Il 60,5% dei parti viene assistito in strutture dove avvengono almeno 1000 parti annui mentre l’8,6% ha ancora luogo in strutture che assistono meno di 500 parti annui.
Nel 2024, in linea con gli anni precedenti, il 20,5% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. Questa proporzione è maggiore al Centro Nord dove è massima la presenza straniera, in particolare in Emilia-Romagna, Liguria e Marche dove oltre il 31% delle nascite è riferito a madri straniere. Il 30,9% delle donne di cittadinanza non italiana che hanno partorito nel 2024 è di origine africana, il 16,6% proviene da Paesi dell’Unione europea (UE), il 21,7% e l’8,2% rispettivamente sono di origine Asiatica e Sud Americana.
L’età media delle madri al parto è di 33,3 anni tra le italiane e 31,3 anni tra le cittadine straniere. L’età media al primo figlio è per le donne straniere pari a 29,4 anni e superiore a 31 anni per le italiane, con variazioni regionali. Da segnalare l’elevata percentuale (10,9%) di donne di età >40 anni che colloca l’Italia, insieme alla Spagna, ai primi posti in Europa che nel 2019 aveva un tasso mediano di madri di età >40 anni pari al 4,5%. Questi dati rappresentano un patrimonio informativo prezioso per promuovere politiche urgenti mirate a sostenere scelte riproduttive consapevoli e a garantire un’assistenza ottimale in base alle diverse esigenze delle donne. La sorveglianza ostetrica ItOSS – ISS ha infatti confermato per il decennio 2011-2021 un aumento di 3 volte il rischio di morte materna per le donne di età >40 anni rispetto a quelle di età >35 anni. Consulta la presentazione di Alice Maraschini “I dati ottenuti dalle procedure di record-linkage di flussi sanitari, anni 2011-2021” (pdf 785 kb) intervenuta al convegno “ItOSS: un’impresa condivisa tra ricercatori e clinici per migliorare l’assistenza al percorso nascita” che si è tenuto il 2 dicembre 2025.
I dati 2024 sottolineano che il 41,5% delle madri italiane ha una scolarità medio alta, il 21,9% medio bassa e il 36,6% ha conseguito la laurea mentre tra le donne straniere prevale una scolarità medio bassa (40,9%). L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 62,4% delle madri italiane ha un’occupazione lavorativa, il 26,3% sono casalinghe e il 15,4% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione mentre tra le donne straniere la percentuale di casalinghe è pari al 50,5%.
Il 99,6% delle donne residenti in Italia riceve assistenza prenatale. Il momento del primo contatto con un professionista sanitario durante la gravidanza è un indicatore di qualità dell’assistenza prenatale. La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita oltre il primo trimestre di gravidanza è pari a 1,7%, valore che sale al 9,8% per le donne straniere. Il dato medio presenta una forte variabilità per livello di istruzione materno, infatti il 10% delle donne con titolo di studio elementare o senza alcun titolo effettua la prima visita tardivamente, contro il 3 % delle donne con scolarità alta. Anche le donne di età inferiore ai 20 anni hanno maggiore difficoltà ad accedere tempestivamente all’assistenza in gravidanza, in particolare l’1,9% non effettua alcun controllo e il 12,3% si rivolge tardivamente ai servizi (dopo l’11° settimana di gestazione).
Nel 77,1% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie, a conferma del consolidamento di una pratica che si discosta notevolmente dalle 2 ecografie raccomandate dalla linea guida nazionale e da quanto previsto dai livelli essenziali di assistenza. Il numero medio di ecografie effettuato dalle donne residenti nel Nord del Paese è inferiore rispetto a quello rilevato nelle Regioni del Sud e, come nei precedenti anni, il numero non presenta differenze in caso di gravidanza fisiologica o patologica a conferma di una inappropriatezza prescrittiva, spia di un eccesso di medicalizzazione dell’assistenza.
Continua il trend decrescente del ricorso alle tecniche invasive di diagnosi prenatale a seguito dell’adesione all’offerta dello screening del primo trimestre mediante test combinato o test del DNA fetale. A livello nazionale in media sono state effettuate 1,8 amniocentesi ogni 100 parti e 4,5 tra le donne con più di 40 anni.
Il ricorso a una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta, in media, in 4,2 gravidanze ogni 100, in crescita rispetto agli anni passati. La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET) (48,2%), seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI) (36,4%). Nel 49,01% dei concepimenti da PMA è stato effettuato un cesareo e la percentuale di parti plurimi si conferma maggiore (6,6%) di quella registrata nel totale delle gravidanze (1,4%), seppur in diminuzione rispetto agli anni precedenti grazie all’avanzamento delle tecniche e alla politica del “single embryo transfer”.
Il 93,9% dei parti avviene a termine tra la 37° e la 42° settimana, mentre la percentuale dei parti pretermine è pari al 6,1% di cui il 75,3% è rappresentato da parti pre-termine tardivi, pari al 4,6% dei parti totali.
Al momento del parto vaginale la donna ha accanto a sé nel 94,7% dei casi il padre del bambino, nel 4,4% un familiare e nello 0,9% un’altra persona di fiducia. La percentuale dei travagli indotti è alta (35,9%) e in aumento con forte variabilità tra regioni (21,3% in Campania e 46,1% in Lombardia).
Si conferma un ricorso eccessivo al taglio cesareo pari al 29,8% nel 2024. Pur mantenendosi su valori alti rispetto al valore medio europeo, negli ultimi anni la proporzione di cesarei è in diminuzione, in linea con le indicazioni delle “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”. Si mantiene tuttavia una forte variabilità per regione (16,5% in Toscana e 44,6% in Campania), per tipologia di struttura (28,3% nei punti nascita pubblici, 44,9% nei presidi accreditati e 54,6% nel privato puro) e per volume di parti: solo i presidi che assistono tra 1000 e 2499 parti annui presentano una proporzione di cesarei inferiore alla media nazionale (28,8%). L’intervento si conferma più frequente tra le donne con cittadinanza italiana (30,4%) rispetto alle donne straniere (27,2%).
Come per le precedenti edizioni del rapporto, il fenomeno del ricorso al taglio cesareo è stato analizzato utilizzando la classificazione di Robson, raccomandata dall’OMS come standard globale per la valutazione, il monitoraggio e il benchmarking longitudinale e trasversale del ricorso al cesareo. La Regione Lazio è stata esclusa dalle analisi per incompleta compilazione delle variabili utilizzate per la classificazione. In Italia sono ancora troppo frequenti i cesarei nella classe 1 di Robson che include le donne alla prima gravidanza a termine con presentazione cefalica (23,9% dei parti totali nel 2024). La classe 5, che riguarda le donne già cesarizzate, pur coprendo un minor numero di parti (11,9% dei parti totali nel 2024), è la classe che contribuisce maggiormente al numero complessivo di cesarei pari al 94,9%, con forte variabilità tra regioni (55,9% in Toscana e 96,7% in Campania). Queste analisi, monitorando la distribuzione dei cesarei nel tempo nelle diverse classi e favorendo il confronto tra regioni e punti nascita, permettono di evidenziare le aree critiche suscettibili di miglioramento. L’adozione della classificazione di Robson ha facilitato la riduzione dei cesarei e una migliore pratica ostetrica in molteplici punti nascita italiani che hanno dimostrato la sua efficacia nella pratica [1].
Lo 0,9% dei nati ha un peso inferiore a 1500 grammi e il 6,1% tra 1500 e 2500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 98,4% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10, indicativo di buone condizioni di salute. Il CeDAP non è in grado di rilevare accuratamente le cause della natimortalità perché viene compilato prima che siano disponibili informazioni utili all’inquadramento diagnostico, come gli esami autoptici. Per questo motivo le cause della natimortalità nel 2024 sono identificate dai CedDAP solo per il 30,5% dei 913 bambini nati morti.
Il Rapporto nazionale CeDAP si conferma uno dei flussi informativi più preziosi per monitorare e descrivere nel dettaglio informazioni sanitarie, epidemiologiche e socio-demografiche dell’evento nascita. L’aggiornamento del suo tracciato record - che sarà attivo dal 1 gennaio 2026 - permetterà di disporre di informazioni preziose attualmente indisponibili, come le visite preconcezionali e l’assunzione di acido folico, la percentuale di parti assistiti con analgesia epidurale, la quota di episiotomie e la pratica del pelle a pelle alla nascita e l’allatttamento materno. La disponibilità di dati robusti e accurati è essenziale per disporre della conoscenza utile a indirizzare le politiche di sanità pubblica in ambito materno e perinatale, sia a livello nazionale che regionale.
Riferimenti
- Di Pasquo E, Ricciardi P, Valenti A, Fieni S, Ghi T, Frusca T. Achieving an appropriate cesarean birth (CB) rate and analyzing the changes using the Robson Ten-Group Classification System (TGCS): Lessons from a Tertiary Care Hospital in Italy. Birth. 2022; 49: 430–439. doi:10.1111/birt.12612
- scarica il documento completo “Certificato di assistenza al parto (CeDAP) - Analisi dell’evento nascita - Anno 2024” e le Tabelle in formato xls sul sito del ministero della Salute.
