Il profilo di salute degli stranieri immigrati nelle indagini Istat sulla salute e sull’integrazione: implicazioni per le politiche
Giuseppe Costa - Università di Torino
19 maggio 2016 – Quali sono le principali sfide che i fenomeni migratori impongono all’agenda delle politiche di salute italiane? Questa domanda è stata il punto centrale della tavola rotonda che si è svolta durante il convegno “Epidemiologia della salute della popolazione immigrata in Italia. Evidenze delle indagini multiscopo Istat” (Roma, 5 maggio 2016) organizzato dall’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp) in collaborazione con l’istituto nazionale di statistica (Istat).
La discussione, che ha coinvolto numerosi esperti e decisori italiani, è partita dall’analisi dei risultati delle indagini (pdf 103 kb) condotte da Inmp, Istat e Iss, per arrivare a discutere sia delle implicazioni di carattere politico e sia delle azioni a carico dei centri di responsabilità del Servizio sanitario e del volontariato, della ricerca e del monitoraggio.
Il profilo di salute degli stranieri immigrati
I relatori intervenuti al convegno hanno permesso di tracciare alcuni tratti della popolazione migrante in Italia. Sono emerse numerose conferme rispetto a quanto suggerito dalla letteratura scientifica e dall’esperienza di altri Paesi a più lunga storia migratoria, tra questi: l’effetto migrante sano sui migranti volontari (healty migrant effect), lo stigma sociale sulla salute dei richiedenti asilo, i pochi casi di malattie e condizioni patologiche da importazione (come, rispettivamente, la tubercolosi o il cancro della cervice, la talassemia o le mutilazioni genitali), la scarsa importanza di malattie croniche (come la gran parte dei tumori), ma anche la grande vulnerabilità alle malattie metaboliche o cardiovascolari in alcune popolazioni del continente indiano o di colore. Tuttavia, l’effetto migrante sano, comincia a mostrare i primi segni di logoramento negli indicatori di salute fisica e mentale, portando ricadute sfavorevoli sui costi di assistenza. Contribuiscono a questo sia i processi di acculturamento (spesso accompagnato dall’adozione di stili di vita non salutari), sia l’accumulo di svantaggi sociali (cattive condizioni di vita e di lavoro).
In generale, il basso livello socioeconomico si configura come il tratto comune alle disuguaglianze di salute e di accesso ai servizi osservate a svantaggio dello straniero immigrato: una situazione che sposta la soluzione di una parte dei problemi di salute dei migranti alla politica e a tutte le azioni che possono contrastare le disuguaglianze sociali nella popolazione. In quest’ottica è bene ricordare che la categoria di “straniero immigrato” è una semplificazione che non tiene conto della sua eterogeneità, anche dal punto di vista della salute.
Questi rischi per la salute, i relativi impatti sulla morbosità e le limitazioni funzionali non sono ancora adeguatamente monitorati e richiederebbero un’attenzione particolare nel disegno degli strumenti di indagine e dei sistemi informativi sanitari e statistici. Tuttavia il sistema sanitario non è automaticamente preparato (per conoscenze e competenze) a queste diversità: occorre uno sforzo di costruzione di capacità non solo per i professionisti di prima linea ma anche per la struttura di direzione del sistema sanitario e per quella di ricerca.
In quale direzione sarebbe necessario adattare la programmazione sanitaria?
La direzione della Prevenzione del ministero della Salute ha evidenziato gli stimoli, offerti dalla definizione del profilo di salute della popolazione migrante, per orientare le azioni del Piano nazionale di prevenzione (Pnp) in modo sensibile alle differenze di rischio, salute e accesso alle cure. Tuttavia, ha ricordato anche che nel nostro Paese il flusso migratorio più rilevante sfugge a questi sistemi di indagine. È quello che coinvolge i migranti che dall’Africa provano a venire in Italia, attraverso il canale di Sicilia e che mette sotto pressione i sistemi di controllo e di sorveglianza di frontiera. In particolare, si sottolineano due fenomeni: da un lato il peggioramento delle condizioni di arrivo osservato nell’ultimo biennio correlato al passaggio attraverso la Libia (che mina i migranti anche dal punto di vista delle condizioni economiche , assimilandoli per esperienza alle vittime di tratta); dall’altro lato, i migranti circolari che non riuscendo ad arrivare nei Paesi del Nord Europa entrano in circuiti di clandestinità e criminalità.
In quale direzione sarebbe necessario indirizzare i sistemi di indagine e gli sforzi di ricerca? Le voci dei partecipanti alla discussione
La direzione Sistemi informativi del ministero della Salute si è detta consapevole delle nuove sfide per la conoscenza che emergono dalle dinamiche migratorie e ha assicurato la massima disponibilità a utilizzare le procedure di integrazione tra le fonti informative Nsis (Nuovo sistema informativo sanitario) di prossima regolamentazione al fine di potenziare la capacità di sorveglianza e valutazione, con particolare riguardo alla valorizzazione integrata dei dati sanitari con quelli sociali per il monitoraggio delle disuguaglianze.
Il contributo che può dare l’Istat è naturalmente nel campo della misura e dello studio dei fenomeni, soprattutto attraverso un uso integrato delle fonti informative sanitarie e statistiche con le fonti sociali.
Sul piano delle lacune della ricerca sulla salute immigrata, l’Associazione italiana di epidemiologia (Aie) ha riconosciuto che il rapporto salute e immigrazione rimane da indagare sotto molti punti di vista stimolanti per l’epidemiologia. In particolare, le principali lacune conoscitive riguardano il ruolo di intermediazione dello stato socioeconomico, lo sviluppo nelle traiettorie di vita dello svantaggio sociale e degli effetti sfavorevoli sulla salute, il profilo di svantaggio e di salute delle seconde e terze generazioni, l’esigenza di indagare anche il punto di vista delle diverse comunità.
Dalla discussione è emerso anche che il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) sta aprendo un programma strategico di ricerca sulle politiche dell’immigrazione, dimostrando molto interesse sui risultati dell’uso integrato dei dati di salute e delle storie migratorie. Per questo motivo il Cnr si è impegnato a inserire l’impatto marginale sulla salute tra gli indicatori di benessere che possono guidare la valutazione delle politiche non sanitarie.
Infine la voce dei professionisti e dei volontari impegnati sul campo, rappresentati dalla Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm), ha mostrato apprezzamento circa l’ampiezza e la profondità del profilo epidemiologico degli stranieri immigrati che si può ricavare dalle indagini Istat, e ha ribadito che, per quanto rilevante per molti aspetti umanitari, l’emergenza rifugiati riguarda meno del 4% della popolazione straniera meritevole di studio. Il valore di queste indagini è, dunque, anche quello di tenere alta l’attenzione sul problema generale della salute straniera prima, e oltre, l’allarme derivante dalle emergenze.
Dal punto di vista delle implicazioni per le politiche di salute l’esperienza sul campo ha evidenziato alcune priorità ancora poco indagate: la fragilità e patogenicità del sistema di accoglienza dei rifugiati, il forte rischio di disuguaglianze territoriali nell’accesso ai servizi, la necessità di indagare il profilo di salute e i meccanismi di rischio per le seconde generazioni, da un lato, e per le nuove fasce di invecchiamento dall’altra. Sono sfide che richiedono sforzi di fantasia (non basta l’evidence based medicine, occorre anche saper personalizzare i livelli di assistenza e tutela), sforzi di concretezza (non si possono rimandare le soluzioni a problemi immediati), e sforzi di coerenza tra le risorse e le competenze istituzionali e della comunità.