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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Informazioni generali



21 febbraio 2013 - I numeri parlano chiaro: il fenomeno migratorio è in costante crescita globalmente con modalità differenti a seconda di uomini, Paesi, cause, mezzi, direzioni. Secondo i dati pubblicati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim, International Organization for Migration) nel “World Migration Report 2010 - The Future of Migration: Building Capacities for Change” (pdf 12,4 Mb), il numero dei migranti a livello mondiale è passato da 150 milioni nel 2000 a 214 milioni nel 2010, e le proiezioni per i prossimi anni confermano l’andamento. Per il 2050 si parla infatti di 405 milioni di persone migranti come risultato delle crescenti disparità demografiche, dei cambiamenti ambientali, delle nuove dinamiche economiche e politiche globali, delle rivoluzioni tecnologiche e dei network sociali.

 

Le implicazioni sociali e sanitarie sono considerevoli. I flussi migratori interessano infatti una moltitudine di popolazioni e di categorie di persone (lavoratori, studenti, rifugiati, ecc), ognuna con determinanti di salute, bisogni e livelli di vulnerabilità differenti. Inoltre, il fenomeno coinvolge direttamente un’ampia gamma di aspetti della vita quotidiana sia dei soggetti migranti che della popolazione locale.

 

Una delle sfide della sanità pubblica è di riuscire a garantire accesso ai servizi e percorsi di tutela per tutte quelle persone che, per diversi motivi, si trovano in condizioni di fragilità sociale. È dimostrato infatti che tra i principali determinanti di salute ci sono i fattori socioeconomici che influenzano stili di vita e accesso ai servizi sanitari. La salute dei migranti e le tematiche di salute associate alle migrazioni sono dunque questioni cruciali per l’agenda internazionale dei governi e della società civile. È questa l’idea alla base della Risoluzione Oms sulla salute dei migranti (pdf 16,7 kb) approvata dalla 61esima Assemblea mondiale della sanità nel 2008.

 

Un linguaggio comune: qualche definizione

In quanto problema globale, la migrazione ha bisogno di un approccio d’insieme e di risposte coordinate. Un linguaggio comune è dunque indispensabile per il successo della collaborazione internazionale. Secondo quanto riportato dall’Oim nel Glossary on Migration (pdf 1,9 kb), il termine “migrazione” definisce un processo di spostamento a livello di popolazione (da un Paese all’altro o all’interno di uno stesso Paese), indipendentemente dalla distanza, dalle cause o dalla composizione e include la migrazione di rifugiati, persone espatriate e chi si sposta per motivi economici.

 

Volendo provare a classificare le molteplici tipologie di persone che rientrano nella definizione di migrante, si può sicuramente fare una prima differenziazione relativa allo status legale:

  • sono “regolari” i migranti che seguono canali legali di ingresso e permanenza
  • sono “irregolari” (secondo le definizioni dell’Oim) i migranti che non hanno uno status legale nel Paese che li ospita o in cui sono di passaggio. In particolare, in Italia il ministero dell’Interno distingue gli stranieri “irregolari” dai “clandestini”: i primi hanno perduto i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale (per esempio, permesso di soggiorno scaduto e non rinnovato), di cui erano però in possesso all'ingresso in Italia; i secondi sono invece entrati in Italia senza regolare visto di ingresso.

Tra i regolari rientrano per esempio i “rifugiati” e i “richiedenti asilo”. In base alla Convenzione delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati del 1951 e al Protocollo di New York del 1967, un rifugiato è una persona che «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra». In Italia, per richiedere il riconoscimento dello status di rifugiato è necessario presentare una domanda motivata con l'indicazione delle persecuzioni subite e delle possibili ritorsioni in caso di rientro nel proprio Paese. Un “richiedente asilo” è invece una persona che richiede a un Paese lo status di rifugiato ed è in attesa della decisione in merito alla domanda presentata.

 

Un discorso a parte va fatto per i “nomadi”, gruppi etnici a cui manca un insediamento stabile e che si spostano periodicamente secondo una forma di mobilità legata alla forma di economia che li caratterizza ma che può essere praticata anche per motivi di tradizione storica e culturale. A questo proposito il ministero dell’Interno italiano parla di “comunità sprovviste di territorio” di cui fanno parte gli zingari (Rom, Sinti e Caminanti) non insediati su un territorio delimitato. Gli zingari presenti in Italia appartengono a tre gruppi: i Rom più diffusi al Centro e al Sud, i Sinti che vivono soprattutto al Nord e i Caminanti presenti in Sicilia. Il nomadismo, pur costituendo un aspetto fondante della loro identità, non rappresenta più una caratteristica peculiare di queste popolazioni che da tempo hanno assunto atteggiamenti di stanzialità. Come ricordato nella monografia a cura dell’Agenzia di sanità pubblica della Regione Lazio “Salute senza esclusione: campagna vaccinale per i bambini Rom e Sinti a Roma”: «Le comunità zingare attualmente presenti in Italia tendono alla sedentarizzazione, ma se da un lato permangono il gusto del viaggio e un forte sentimento di indipendenza rispetto al tessuto sociale e culturale circostante, dall'altro le politiche locali di sgombero e allontanamento impediscono nei fatti di raggiungere la piena stanzialità».

 

Una seconda distinzione si può fare in base al tempo di permanenza che può essere di lunga o breve durata. Un “migrante a lungo termine” è secondo l’Oim una persona che si trasferisce in un Paese diverso da quello di residenza per un periodo di almeno un anno così che il Paese di destinazione diventa quello di residenza reale. È invece un “migrante a breve termine” una persona che si trasferisce in un Paese diverso da quello di residenza per un periodo di almeno tre mesi (ma meno di un anno). Sono esclusi però i casi in cui questo trasferimento è legato a motivi di svago, vacanza, visita ad amici o parenti, affari o per trattamenti medici (in questo caso le persone generalmente sono definite “visitatori”). Appartengono a quest’ultima categoria i “migranti stagionali”: quelle persone cioè che si spostano per motivi di lavoro poiché la loro occupazione ha caratteristiche che dipendono da condizioni stagionali e si svolge quindi solo in alcuni periodi dell’anno come l’agricoltura e il turismo.

 

La popolazione migrante in Italia

Alla fine del 2011, secondo i dati riportati nel Dossier Caritas/Migrantes 2012 (pdf 483 kb), nel nostro Paese il numero complessivo degli immigrati regolari (inclusi i comunitari e quelli non ancora iscritti in anagrafe) era di oltre 5 milioni di persone, con un’incidenza sulla popolazione residente pari a 8,2%. I permessi di soggiorno per i migranti non comunitari in vigore alla fine del 2011 erano 3.637.724, mentre il numero stimato dei comunitari era di 1.373.000. Dal punto di vista delle aree di partenza, il continente europeo è al primo posto con il 50,8%, seguito da quello africano (22,1%), dall’Asia (18,8%) e dalle Americhe (8,3%). Il Dossier Caritas/Migrantes 2012 riporta inoltre una distribuzione geografica degli stranieri residenti nel nostro Paese disomogenea, con una maggiore presenza al Nord (63,4%) rispetto al Centro (23,8%), al Sud (9%) e alle Isole (3,8%). Per maggiori informazioni consulta le pagine di EpiCentro dedicate ai numeri della migrazione (in Italia, in Europa, nel mondo).

 

L’Italia, inizialmente considerata un territorio di passaggio verso altri Paesi, è diventata con il passare del tempo una meta stabile: per molte Province del Centro-Nord sembra avviato un processo di integrazione sul territorio delle collettività immigrate, mentre il Mezzogiorno rimane un’area dinamica in cui è difficile rintracciare caratteristiche di stabilizzazione. In questo percorso di inserimento un ruolo fondamentale lo giocano le donne che costituiscono una realtà sempre più significativa all’interno del nostro Paese. Il processo di femminilizzazione dei flussi migratori, e la conseguente concentrazione di donne in età fertile, porta in primo piano le questioni relative alla salute riproduttiva e materno-infantile ma anche quelle relative al contributo dato dai figli dell’immigrazione alla realtà italiana. Alla fine del 2010, le donne residenti con nazionalità estera sono oltre 2 milioni e 300 mila e costituiscono il 51,8% del totale degli stranieri (nel 2011 la presenza femminile tra i soli soggiornanti non comunitari è del 49,5%). Leggi in proposito anche l’approfondimento tematico sulla salute della donna e dei bambini migranti.

 

Lo stato di salute della popolazione migrante in Italia

Molti sono i fattori che condizionano il profilo di salute dei migranti. Prima dell’arrivo nel Paese ospite, questi comprendono l’esposizione a eventuali fattori di rischio (ambientali, microbiologici, culturali, ecc) e l’accesso a servizi sanitari preventivi e curativi nel Paese di origine e/o di immigrazione intermedia. A questi si aggiungono le conseguenze delle difficoltà fisiche e psicologiche affrontante durante il percorso migratorio. Dopo l’arrivo nel Paese ospite, diventano invece significative le condizioni di vita (economiche, ambientali, ecc) e l’accesso ai servizi socio-sanitari.

 

La maggior parte di coloro che giungono in Italia è fondamentalmente in buona salute. Si osserva infatti il cosiddetto “effetto migrante sano”, una forma di autoselezione all’origine in base a cui decide di emigrare solo chi è in buone condizioni di salute. Una volta nel nostro Paese, però, gli immigrati vedono progressivamente il loro stato di salute impoverirsi, poiché esposti a molti fattori di rischio legati a condizioni di vita generalmente precarie. Inoltre bisogna considerare che nel tempo la rilevanza dell’“effetto migrante sano” tenderà a diminuire, con la stabilizzazione del fenomeno migratorio e l’integrazione sociale dei migranti nelle realtà locali. Leggi in proposito anche l’approfondimento tematico sulle malattie infettive e l’accesso alle vaccinazioni tra la popolazione migrante.

 

Il sistema di sorveglianza Passi fornisce una fotografia sugli stranieri di età compresa tra 18 e 69 anni intervistati nel periodo 2008-2011. Ciò che emerge è che questo gruppo di popolazione percepisce in modo migliore il proprio stato di salute rispetto agli italiani e riferisce meno sintomi depressivi. Non si evidenziano differenze significative fra italiani e stranieri per quanto riguarda l’abitudine al fumo, il consumo di alcol a maggior rischio e l’inattività fisica, mentre fra gli stranieri è significativamente più bassa la prevalenza di persone in eccesso ponderale. Gli stranieri aderiscono meno frequentemente degli italiani ai programmi di screening, ma sembrano più attenti degli italiani per quanto riguarda la sicurezza stradale. Come gli italiani hanno una bassa percezione del rischio di incidenti domestici e di contrarre una malattia legata al loro lavoro, ma sono più consapevoli del rischio di infortunio in ambiente lavorativo. Leggi in proposito anche l’approfondimento tematico sui gli stranieri nel Pool Passi 2008-11.

 

Anche nell’ambito dell’indagine 2008-2011 condotta nell’ambito dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare/Health Examination Survey, è stato possibile raccogliere alcune informazioni sui migranti intervistati. Secondo i dati a disposizione, la popolazione di migranti risulta mediamente più giovane, come atteso; la prevalenza dei fumatori sia negli uomini che nella donne è più elevata, mentre l’obesità ha una prevalenza più bassa, come del resto minore è l’inattività fisica lavorativa rispetto al campione italiano per entrambi i generi; queste caratteristiche si riscontrano anche nel confronto specifico per età. Leggi in proposito anche l’approfondimento tematico sui dati Oec/Hes.

 

Anche la disponibilità di flussi informativi ben consolidati sulle prescrizioni farmaceutiche può fornire indicazioni utili per descrivere le condizioni di salute e l’accesso alle prestazioni sanitarie tra i migranti. Inoltre, le differenze che si osservano fra immigrati e italiani possono rappresentare bisogni non adeguatamente coperti oppure essere il tracciante di una diversa prevalenza di patologia. Nell’insieme, comunque, i dati a disposizione indicano che il Ssn garantisce un buon livello di accesso all’uso dei farmaci, con un livello di spesa che, tenuto conto dell’età giovane della popolazione immigrata, è molto contenuto. Leggi in proposito anche l’approfondimento tematico su farmaci e immigrati.

 

Diversi studi dimostrano che molte patologie croniche, tra cui il diabete, colpiscono maggiormente i gruppi socialmente sfavoriti. Tra questi, le persone immigrate rappresentano una fascia di popolazione particolarmente svantaggiata poiché non sempre hanno accesso ai servizi nei tempi e nei modi che sarebbero necessari. Dunque, favorire un accesso regolare ai servizi preposti all’assistenza alla malattia diabetica nei pazienti e potenziare le competenze individuali su questa patologia diventano obiettivi primari, sia per la prevenzione e gestione del singolo che per la salute pubblica in generale. Sul sito del progetto Igea, è presente un’ampia sezione dedicata al diabete e alle disuguaglianze sociali di salute in cui è disponibile anche un filmato realizzato dall’Iss in collaborazione con l'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà (Inmp).

 

Accesso ai servizi sanitari

La tutela della salute in Italia è sancita dall’articolo 32 della Costituzione che, identificando la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” non la vincola alla cittadinanza italiana o allo status (regolare o irregolare) di residenza. Da questo principio deriva la legislazione attualmente in vigore che sancisce il diritto di qualunque cittadino straniero in Italia di usufruire dei servizi sanitari pubblici a prescindere dalla sua situazione amministrativo-giudiziaria (Titolo V della legge 40 del 1998 attuata con norme nazionali, regionali e locali).

 

L’assistenza sanitaria al cittadino straniero in Italia è regolata da alcune norme nazionali e condizionata da politiche locali. Nel nostro Paese, il testo di riferimento giuridico sull’immigrazione è il Decreto Legislativo n. 286 del 1998 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” che, con il relativo Regolamento d’attuazione (D.P.R n. 394/1999), per la prima volta propone un corpo giuridico moderno volto a superare in ambito sanitario un approccio legato all’emergenza, garantendo il diritto di inclusione ordinaria degli stranieri nel sistema di tutela della salute di tutti i cittadini. L’articolo 34 affronta il tema dell’assistenza agli stranieri iscritti al Servizio sanitario nazionale (Ssn), dunque regolarmente soggiornanti in Italia. L’articolo 35 è invece dedicato alle condizioni di assistibilità degli stranieri non iscritti al Ssn o perché migranti a breve termine (studenti, turisti, ecc) o perché non in regola con le norme di ingresso e soggiorno. Alcune modifiche sono state introdotte con il D.P.R. 334/2004 che stabilisce per esempio che l'iscrizione non decade nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno. Il Testo unico ha rappresentato un momento di svolta perché ha influenzato direttamente i successivi Piani sanitari nazionali e ha dato un input significativo anche alle politiche regionali e locali che, nella realtà quotidiana, sono di fatto protagoniste della reale offerta sanitaria ai migranti. Per approfondire il tema leggi anche il documento “La tutela della salute degli immigrati nelle politiche locali” (pdf 1,8 Mb), a cura della Caritas Diocesana di Roma (luglio 2010) e l’approfondimento dedicato sul sito salute internazionale.info

 

Per fornire uniformità di risposta in tema di accesso alle cure da parte della popolazione immigrata nelle Regioni e nelle Province autonome e per raccogliere in un unico strumento operativo le disposizioni normative nazionali e regionali relative all’assistenza sanitaria agli immigrati, anche al fine di semplificare la corretta circolazione delle informazioni tra gli operatori sanitari, il 20 dicembre 2012, la Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, ha definito un Accordo sul documento “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l'assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province Autonome italiane”.

 

Per dettagli sulla normativa italiana sul tema, leggi anche le pagine dedicate sul sito della Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm).

 

Un discorso a parte merita l’offerta sanitaria nei Centri di immigrazione. Attualmente esistono tre tipologie di Centri dell’immigrazione in Italia. I Centri di accoglienza (Cda) (L.563/95) hanno lo scopo di fornire un primo soccorso ai migranti al momento della loro individuazione sul territorio nazionale e di accoglierli per il tempo necessario a stabilire la loro identità e la legittimità o meno della loro permanenza sul territorio nazionale.

 

Una volta definita la procedura amministrativa da seguire, immigrati richiedenti asilo vengono ospitati in Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) per il periodo necessario alla loro identificazione e all’esame della domanda d’asilo da parte della Commissione Territoriale (DPR 303/2004 - D.Lgs. 28/1/2008 n°25).

 

Sono invece trasferiti in Centri di identificazione ed espulsione (Cie - così denominati con decreto legge 23 maggio 2008, n. 92 e previsti dall’art. 14 del Testo Unico sull’immigrazione 286/98, come modificato dall’art. 12 della legge 189/2002D.L. 92/2008) gli immigrati irregolari. Queste sono strutture destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, degli stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione.

 

Mappe sul numero, la capacità e la distribuzione geografica dei Cie e dei Cara/Cda sono pubblicate periodicamente dal ministero dell’Interno. Come dettagliato nella scheda tematica pubblicata dal ministero dell’Interno, i Centri di immigrazione sono pianificati dalla Direzione Centrale dei Servizi Civili per l’Immigrazione e l’Asilo e gestiti a cura delle Prefetture - Uffici Territoriali del Governo (Utg) tramite convenzioni con enti, associazioni o cooperative aggiudicatarie di appalti del servizio. Tra le prestazioni richieste sono comprese sia l’assistenza sanitaria che la cura dell’igiene ambientale. Per approfondire leggi anche la scheda informativa del ministero dell’Interno sul capitolato di appalto per la gestione dei Centri di accoglienza; il servizio di assistenza sanitaria dettagliato al punto tre dello schema del capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza per immigrati e le specifiche tecniche integrative del capitolato per la gestione dei centri di primo soccorso e accoglienza, dei Cara e dei Cie.

 

Dalla teoria alla pratica

Le buone norme, tuttavia, non bastano a garantire l’accesso ai servizi e alle prestazioni sanitarie. La “paura” e la diffidenza nei confronti del Ssn da parte delle persone in condizione di irregolarità giuridica rimangono elementi non trascurabili, specialmente dopo l’introduzione della legge 94/2009 che ha introdotto il reato di ingresso e soggiorno irregolare con successivo obbligo di denuncia per pubblici ufficiali e incaricati al pubblico servizio. Per quanto riguarda la sanità però, l’obbligo di denuncia è in netto contrasto con quanto scritto nel comma 5 dell’Art 35 del Testo Unico in cui si ribadisce il divieto di segnalazione alle autorità sullo straniero non in regola con le norme sul soggiorno. Questa contraddizione ha prodotto confusione e discrezionalità tra gli operatori e diffuso timore da parte degli immigrati.

 

Di fronte alla mobilitazione generale del mondo sanitario, il Ministero dell’Interno, il 27 novembre 2009, ha emanato una circolare (la numero 12) che ha fornito chiarimenti riguardo all’incoerenza delle due normative, ribadendo la permanenza del divieto di segnalazione verso gli stranieri irregolari che si rechino presso le strutture sanitarie (salvo il caso in cui il personale stesso sia tenuto all’obbligo del referto, ai sensi dell’art. 365 del codice penale, a parità di condizioni con il cittadino italiano). In proposito leggi la pagina dedicata al Dossier emendamento sicurezza 2008-2009 e alla campagna “Noi non segnaliamo”, sul sito della Simm.

 

Si aggiungono a questo le difficoltà linguistiche e le differenze culturali che mettono in evidenza come il tema della promozione della salute nei confronti dei migranti vada affrontato all’interno di un approccio più ampio che includa l’inserimento sociale nel senso più lato del termine. In tutto questo diventa basilare la formazione degli operatori, per una efficace presa in carico dei migranti. Inoltre, per favorire l’integrazione, diventa sempre più necessaria l’informazione-mediazione verso gli stranieri e la comunicazione verso la società ospitante. Al riguardo, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha pubblicato il “World Migration Report 2011 - Communicating Effectively about Migration” (pdf 10,7 Mb) che affronta il tema dell’importanza di una comunicazione efficace sul tema dei migranti per evitare disinformazione e percezione negativa.

 

Sul sito del ministero della Salute è disponibile una sezione dedicata a informare i cittadini (italiani all’estero e stranieri in Italia) sulle modalità di accesso ai servizi.