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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Salute delle donne e dei bambini migranti



A cura del reparto di Salute della donna e dell’età evolutiva

 

21 febbraio 2013 - Negli ultimi anni si è potuto osservare, sia a livello internazionale che quello locale, il rafforzamento del processo di femminilizzazione dei flussi migratori che, anche in Europa ed in Italia, ha comportato un progressivo aumento della componente femminile della popolazione straniera. Questo fenomeno nel nostro territorio si coniuga con una sempre maggior “strutturalità” della presenza di migranti e conseguentemente con una caratterizzazione dell’attuale realtà italiana come società multiculturale.

 

Attraverso i dati annuali del Dossier Statistico Caritas/Migrantes 2012 (pdf 483 kb) è possibile apprezzare la rilevanza di questa situazione: mentre all’inizio degli anni ’90 le donne straniere presenti in Italia non raggiungevano le 300 mila unità, all’inizio del secondo millennio avevano superato il milione di unità. Alla fine del 2010, le donne residenti con nazionalità estera sono oltre 2 milioni e 300 mila e costituiscono il 51,8% del totale degli stranieri (nel 2011 la presenza femminile tra i soli soggiornanti non comunitari è del 49,5%).

 

Caratteristiche dell’immigrazione femminile in Italia

L’incidenza femminile si differenzia all’interno delle collettività straniere: in generale la componente femminile è molto maggiore tra gli immigrati provenienti dall’Europa Orientale rispetto a quelli di origine africana o asiatica, con punte di oltre il 70% per molti Paesi dell’Est Europa, dell’Ex-Unione Sovietica e del Brasile.

 

La distribuzione territoriale è simile a quella di tutta la popolazione migrante: 37% risiede nelle Regioni del Nord-Ovest, 29% in quelle del Nord-Est, 22% nel Centro, il 9% al Sud e il 3% nelle Isole.

 

Esiste una grande varietà anche nei profili e nei percorsi di integrazione che caratterizzano l’immigrazione femminile che, sebbene sia ancora in larga parte determinata dai ricongiungimenti familiari, in particolare per alcune nazionalità (Pakistan, Bangladesh, Egitto, Macedonia, Tunisia, Giordania, Algeria), si declina in molteplici forme. Sono sempre di più, infatti, le donne straniere “primomigranti” (breadwinner o “apripista”) – storicamente provenienti dalle Filippine e in tempi più recenti originarie del Sud America e dell’Europa orientale – che arrivano sole in Italia e attivano a loro volta catene migratorie al femminile o familiari, oppure si assumono autonomamente la responsabilità di inviare rimesse economiche per sostenere la famiglia nel Paese di origine, affrontando così anche le complessità legate ai legami familiari transnazionali. Di particolare rilievo anche la presenza delle donne rifugiate o richiedenti asilo o delle vittime della tratta e dello sfruttamento della prostituzione, che presentano profili di vulnerabilità specificamente legati alla loro esperienza migratoria.

 

I bambini

Un’evidente ricaduta della consistente presenza femminile straniera, che si caratterizza anche per la giovane età, è osservabile sulla natalità. Nel 1986 i nati da genitori entrambi stranieri erano solo l’1% del totale dei nati in Italia e nel 1996 il 4,5%, mentre nel 2010 circa 2 nuovi nati su 10 sono stranieri e, considerando le sole Regioni del Nord dove è maggiore la concentrazione e l’inserimento socio-lavorativo della popolazione immigrata, le nascite da madri stranieri salgono al 30% del totale. Con una media di 2,13 figli ciascuna, le donne straniere contribuiscono significativamente alla fecondità nazionale e a invertire il trend del calo demografico della popolazione italiana.

 

Ricadute sull’assistenza sanitaria

A fronte di questa situazione aumenta sempre più l’attenzione per la tutela della maternità tra le immigrate che partoriscono in Italia. Si osserva, infatti, una loro maggiore difficoltà nella fruizione dei servizi a disposizione nel percorso nascita e nel cogliere le opportunità di salute e assistenza nel periodo della gravidanza e del post-partum, nonostante le donne straniere facciano riferimento al consultorio più che le italiane.

 

Carenze conoscitive in termini di health literacy tra le donne immigrate sono riscontrabili anche in altri percorsi. L’analisi del maggior ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) tra le donne immigrate mette in luce, infatti, la necessità di promuovere informazioni e servizi che siano loro di supporto nelle scelte di procreazione consapevole, data le difficoltà che le straniere incontrano nell’orientarsi e nell’utilizzare correttamente la contraccezione.

 

I servizi e le politiche sono quindi chiamati a impegnarsi a rafforzare l’intero ambito della salute riproduttiva e della prevenzione, attraverso strategie di empowement e offerta attiva per una reale inclusione sociale delle donne immigrate.

 

L’impegno del Cnesps

Il Cnesps, con il reparto di Salute della donna e dell’età evolutiva, da tempo è impegnato nello studio e nell’analisi di queste tematiche. Diversi indagini hanno contribuito a fornire dati utili sul percorso nascita e sul ricorso all’Ivg tra le donne straniere mentre, con la sorveglianza portata avanti da OKkio alla Salute, sono stati registrati dati sui rischi comportamentali dei bambini (italiani e immigrati) delle scuole primarie.