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Una nuova rassegna di The Lancet sulla natimortalità



Ilaria Lega, Alice Maraschini e Serena Donati – reparto Salute della donna e dell'età evolutiva, Cnesps - Iss

 

28 dicembre 2016 - Nel 2015 i nati morti nel mondo sono stati 2,6 milioni, circa 7200 ogni giorno, la metà dei quali durante il parto. La riduzione del tasso globale di natimortalità dal 2000 al 2015 non tiene il passo con la riduzione del tasso di mortalità infantile e di mortalità materna, evidenziano gli autori della nuova rassegna di Lancet The Ending Preventable Stillbirth.

Sebbene il 98% di questi decessi si verifichino nei Paesi a basso e medio reddito, anche nei Paesi ad alto reddito la natimortalità non può essere considerata un problema del passato.

 

Cinque anni fa la rivoluzionaria rassegna di Lancet intitolata “Stillbirth” ebbe il merito di fare uscire dall’ombra l’inaccettabile bilancio dei nati morti intra partum nei Paesi a basso reddito, la variabilità del tasso di natimortalità anche tra i Paesi con sistemi sanitari avanzati, la deplorevole assenza di queste 2,6 milioni di morti all’anno dalle statistiche e dalle strategie globali come quelle delle Nazioni Unite e dei Millennium Goals (Lancet Stillbirth Series 2011). Si evidenziò allora anche la contiguità causale di questi decessi con le morti neonatali e materne e la mancata disponibilità di dati affidabili sulla natimortalità proprio nei Paesi dove erano più necessari. Il termine “nato morto” (stillbirth) è utilizzato dall’Oms come sinonimo di morte fetale tardiva secondo l’Icd-10 (nati senza segni vitali con peso alla nascita di 1000 g o più con un’età gestazionale equivalente ad almeno 28 settimane) per consentire confronti internazionali.

 

L’attenzione alla natimortalità è quindi un fenomeno molto recente. L’adozione nel 2014 da parte delle Nazioni Unite del piano d’azione Oms e Unicef “Every Newborn”, finalizzato ad azzerare la mortalità materna e neonatale e la natimortalità evitabile nel mondo, è stata una pietra miliare nella considerazione di queste morti così a lungo dimenticate. L’”Every Newborn” ha fatto si che la natimortalità fosse inserita fra gli indicatori centrali di progresso, accanto alla mortalità materna e alla mortalità neonatale e ha fissato un obiettivo globale da raggiungere: 12 nati morti ogni 1000 nati entro il 2030. Del resto, a fronte dei grandi progressi registrati nei 25 anni dei Millennium Development Goals (Mdg), che hanno visto dimezzarsi la mortalità materna e la mortalità infantile sotto i 5 anni a livello globale, il miglioramento della qualità dell’assistenza alla madre e al neonato durante il travaglio, alla nascita, nel primo giorno e nella prima settimana di vita sono oggi riconosciuti a livello internazionale come il fulcro sul quale far leva per perseguire l’obiettivo di ridurre ulteriormente la mortalità materna e infantile nei prossimi anni (Every Newborn Series, Lancet 2014).

 

Eliminare la natimortalità evitabile

La Prof. Joy Lawn della London School of Hygiene & Tropical Medicine, coordinatrice della rassegna di Lancet, con i coautori del secondo articolo della rassegna fa il punto sull’andamento del tasso di natimortalità a livello globale (Lawn et al, Lancet 2016). La soglia scelta per definire il nato morto è l’età gestazionale di almeno 28 settimane, emersa quale informazione più diffusamente disponibile e migliore predittore di maturità fetale rispetto al peso alla nascita (Blencoweet al., Lancet 2016). La stima della natimortalità globale per il 2015 è pari a 18,4 per 1000 nati, a fronte del 24,7 per 1000 stimato nel 2000, con una riduzione annuale del tasso del 2,0%. Nonostante i progressi registrati, la riduzione annuale del tasso è più lenta rispetto a quella del tasso di mortalità materna (riduzione annua del 3%), neonatale (3,1%) e postneonatale sotto i 5 anni (4,5%). Perché ogni Paese raggiunga il target del piano d’azione Every Newborn entro il 2030 sarebbe richiesta una riduzione annuale più che doppia rispetto all’attuale.

 

La media globale nasconde grandi differenze fra le diverse aree geografiche: 94 Paesi, principalmente a reddito alto e medio alto, hanno già raggiunto l’obiettivo pur con un’ampia variabilità, mentre due terzi dei nati morti si concentrano in 10 Paesi (India, Nigeria, Pakistan, Cina, Etiopia, Repubblica democratica del Congo, Bangladesh, Indonesia, Tanzania e Niger), che hanno contribuito anche alla maggior parte delle morti neonatali (62%) e materne (58%) nel 2015.

 

Alcuni Paesi hanno fatto progressi più rapidi anche rispetto ai Paesi contigui come per esempio il Bangladesh, dove dal 2000, parallelamente alla riduzione del tasso di fertilità e all’aumentata copertura di interventi sanitari rivolti alla madre e al neonato in gravidanza e al momento del parto la riduzione annuale del tasso di natimortalità è pari al 3,5%; o il Ruanda, dove si è registrata una riduzione annuale del tasso di natimortalità del 2,9%, pur rimanendo elevato il tasso di fertilità, parallelamente a un aumento della copertura delle cure durante la gravidanza e della diffusione dell’assistenza al parto da parte di personale addestrato.

 

Gli autori forniscono nuovi risultati riguardo alla evitabilità dei nati morti. I nati morti intra partum, morti cioè dopo l’avvio del travaglio ma prima della nascita, sono 1,3 milioni in un anno nel mondo e rappresentano morti in gran parte essere evitabili. La diffusione globale di un’assistenza adeguata al momento del parto emerge come un investimento ad elevato rendimento, che consentirebbe di agire allo stesso tempo per prevenire natimortalità, mortalità materna, neonatale, e della disabilità con conseguente miglioramento dello sviluppo del bambino.

 

Per i 16 Paesi con dati affidabili sulle cause, le anomalie congenite sono responsabili di una mediana di solo il 7,4% dei nati morti, alcuni dei quali sono anche prevenibili, come i difetti del tubo neurale. I fattori modificabili con la più elevata frazione attribuibile di popolazione a livello globale includono: età materna superiore ai 35 anni (6,7%), infezioni materne (malaria 8,2% e sifilide 7,7%), malattie non trasmissibili, nutrizione e stili di vita come per esempio l’obesità (10% circa per ciascuno), eclampsia e preeclampsia (4,7%) e la gravidanza oltre il termine (14,0%).

 

È necessario raddoppiare gli sforzi, ma vi è un ampio margine di miglioramento e il miglioramento è fattibile, ribadiscono gli autori.

 

Ridurre la natimortalità nei Paesi ad alto reddito

La variabilità del tasso di natimortalità nei Paesi con reddito elevato evidenzia il persistere di diseguaglianze meritevoli di attenzione (Fleandy et al., Lancet 2016). La stima del tasso medio di natimortalità a 28 o più settimane di gestazione è pari a 3,5 per 1000 nati: i tassi specifici per Paese variano tuttavia da 1,3 in Islanda a 8,8 in Ucraina. Anche la riduzione annuale del tasso di natimortalità dal 2000 al 2015 è ampiamente variabile, con 8 Paesi con una riduzione inferiore all’1%, e 5 Paesi con una riduzione superiore al 4%. Le donne con una condizione di svantaggio socioeconomico hanno un rischio doppio di andare incontro a una morte fetale tardiva: i determinanti sociali del benessere materno e fetale dovrebbero essere monitorati in tutti i Paesi a reddito elevato, e affrontati anche tramite il miglioramento dell’accesso alle cure che preveda un’assistenza prenatale tempestiva e appropriata da un punto di vista culturale.

 

L’Italia ha registrato nel 2015 un tasso di natimortalità aggiustato a 28 o più settimane di età gestazionale pari a 3,3 per 1000 nascite (tasso di riduzione assoluta su base annua dell’1,1% rispetto al 2000), collocandosi fra i Paesi con un tasso medio-basso.

 

L’esperienza dei Paesi Bassi dimostra, tuttavia, che la riduzione della natimortalità evitabili ha ampi margini anche a livello europeo: il loro tasso di natimortalità pari a 1,8 per 1000 nati nel 2015, con una riduzione annua dal 2000 al 2015 pari al 6,8% testimoniano che il miglioramento delle cure prenatali e al parto, l’audit perinatale su larga scala, un focus alla salute della donna prima e durante la gravidanza possono essere efficaci (Lawn,2016; Flenady, 2016).

 

L’implementazione su larga scala dell’audit nei casi mortalità perinatale, un approccio sistematico nella classificazione delle cause di morte per i nati morti, la ricerca orientata a una migliore individuazione e comprensione dei fattori di rischio di natimortalità sono le azioni alle quali i Paesi a reddito elevato come l’Italia sono chiamati per ridurre queste morti così a lungo dimenticate.