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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Nascere in Italia: un evento sempre più “medicalizzato”



Serena Donati, Michele Grandolfo e Angela Spinelli
Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto Superiore di Sanità

 

 ”l’assistenza medica alla donna gravida […]
consiste essenzialmente in una serie
di metodi di depistage che, per una curiosa combinazione,
 si sono sottratti alla valutazione critica rivelatasi
tanto utile nelle altre discipline
che impiegano metodi analoghi” (Cochrane, 1972).

 

Nell’ambito del nuovo sistema delle Indagini Multiscopo sulle famiglie avviato dall’ISTAT nel 1993, è sta condotta, negli anni 1999-2000, l’indagine sulle “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari”, all’interno della quale è stato studiato anche il tema della gravidanza, del parto e dell’allattamento intervistando un campione di donne che hanno partorito negli ultimi cinque anni. I dati riportati nel volume rappresentano un utile supporto conoscitivo per la valutazione dell’assistenza alla nascita in Italia.

 

In accordo con le più recenti indagini campionarie sulla qualità dell’assistenza al percorso nascita nel nostro paese (1,2), l’indagine ISTAT mostra come la quasi totalità delle donne intervistate (99,6%) abbia ricevuto assistenza sanitaria in gravidanza. Le problematiche che emergono, riguardano l’eccessivo ricorso all’assistenza privata (81% a livello nazionale) specie nell’Italia Centrale (85%) e Meridionale (86%) e la sovrautilizzazione delle prestazioni diagnostiche, senza differenze sostanziali tra le gravidanze fisiologiche e quelle complicate da patologia. A fronte delle tre ecografie raccomandate dal protocollo nazionale d’assistenza alla gravidanza (3), il numero medio e mediano di ecografie è stato pari a cinque ed il 24% del campione ha eseguito sette o più esami ecografici in gravidanza.

 

Un’altra area critica è quella della carenza di informazioni e conoscenze tra le donne che, ancora troppo spesso, sono escluse dai processi decisionali. Le quote più alte di disinformazione riguardano le madri di bassa istruzione e quelle residenti al Sud. I corsi di preparazione alla nascita, risultati associati ad una riduzione degli esiti negativi per la salute della madre e del bambino (4), sono frequentati solo dal 30% delle donne con forti differenze per area geografica (10% al Sud e 42% al Nord) e per istruzione (39% delle donne con istruzione secondaria o superiore contro il 4% di quelle con nessun titolo di studio o licenza elementare).

 

Come sottolineato dall’ISS (1,2,4) la maggiore consapevolezza della donna ed il recupero del suo ruolo di soggetto attivo nella gestione dell’evento nascita sono condizioni essenziali per una pratica ostetrica meno invasiva. Inoltre le donne non adeguatamente informate e prive di una relazione interattiva con il medico sono meno disposte a comprendere ed accettare un fallimento e ricorrono più spesso al magistrato alimentando le ragioni di tutela medico legale che stanno trasformando l’ostetricia in una pratica difensiva.

 

Nel nostro paese il ricorso al taglio cesareo è in continuo aumento e si è passati dall’11,2% del 1980 (5) al 29,8% del 1996 (6) ed al 33,2 del 2000 (7) con notevoli variazioni per area geografica (18,7% nella P.A. di Bolzano e 53,4% in Campania). L’indagine dell’ISTAT rileva una percentuale pari al 29,9% a livello nazionale (il dato è relativo alle sole donne che hanno partorito negli ultimi 5 anni) con valori più bassi (24,5%) nell’Italia nord-occidentale e più alti nell’Italia meridionale (34,8%) e insulare (35,8%). Il rischio di partorire mediante cesareo è maggiore all’aumentare dell’età materna, per le primigravide, per le donne che partoriscono in una casa di cura privata e per quelle residenti nel Sud. Al contrario l’aver partecipato ad un corso di preparazione alla nascita comporta un minor rischio di subire un taglio cesareo. Il problema dell’eccessivo ricorso al taglio cesareo che ha portato l’Italia ad occupare il primo posto tra i paesi Europei, superando di molto la soglia del 10-15% che secondo l’OMS (8) garantisce il massimo beneficio complessivo per la madre e il feto, ripropone la questione della maternità medicalizzata. Quest’eccesso di tagli cesarei, in continua ascesa, non sembra tenere conto dei maggiori rischi rilevati per la salute materna ed infantile specie in caso d’indicazione inappropriata.

 

Il rapporto dell’ISTAT si chiude con un capitolo sull’allattamento al seno da cui risulta che l’81% delle donne con bambini di età inferiore ai cinque anni ha allattato al seno, ma solo il 58% lo ha fatto in maniera esclusiva. A maggior rischio di non allattare al seno sono risultate le donne sotto i 24 e quelle oltre i 40 anni, quelle meno istruite, che risiedono nell’Italia Insulare, che hanno partorito mediante taglio cesareo e quelle che non hanno partecipato ad un corso di preparazione alla nascita.

 

In conclusione, dall’analisi dell’evoluzione dell’evento nascita attraverso le statistiche ufficiali e dalla valutazione attraverso le indagini epidemiologiche, l’assistenza alla gravidanza e al parto nel nostro paese è risultata generalmente buona: il rischio di natimortalità si è quasi dimezzato a partire dai primi anni ’80, la percentuale di donne assistite durante la gravidanza ha superato il 90%, la totalità dei parti è assistita da operatori sanitari e la percentuale di nati da parto pretermine e quella di nati di peso inferiore ai 2500 grammi si è stabilizzata intorno al 6-7%. Tuttavia la realtà italiana è anche caratterizzata dal forte ricorso all’assistenza privata (legata spesso all’inadeguatezza delle strutture pubbliche, in modo particolare al Sud), dalla progressiva medicalizzazione dell’evento nascita, di cui l’eccessivo ricorso al taglio cesareo rappresenta la manifestazione più esasperata, dall’estrema parcellizzazione dei punti nascita, dalla mancanza di continuità nell’assistenza alla nascita e da grande variabilità territoriale non giustificabile in base alle differenti caratteristiche della popolazione e alla frequenza di eventi sanitari negativi.

 

In Italia le resistenze al cambiamento delle procedure mediche in ostetricia sono state, e rimangono, molto forti e la comunicazione tra clinici ed epidemiologi è ancora difficile e talvolta conflittuale.

 

Alla luce di queste considerazioni, e tenuto conto del fatto che l’obiettivo principale di qualsiasi intervento di sanità pubblica sulle tecnologie per la nascita dovrebbe essere quello di garantire cure non invasive alle gravidanze fisiologiche e un’adeguata identificazione e monitoraggio della piccola quota di gravidanze a rischio, sarebbe auspicabile l'attivazione di sistemi di sorveglianza a livello regionale in grado di revisionare i protocolli e monitorare le procedure, gli esiti e il grado di soddisfazione delle partorienti al fine di rendere quanto più possibile omogenei gli interventi dei singoli operatori nei diversi punti nascita dell’intero territorio nazionale.

 

BIBLIOGRAFIA

1.  Donati S, Spinelli A, Grandolfo ME, Baglio G, Andreozzi S, Pediconi M, Salinetti S (1999), L’assistenza in gravidanza, al parto e durante il puerperio in Italia. Ann. Ist. Super. Sanità, 35, 289-296.

2.  Donati S, Andreozzi S, Grandolfo ME. (2001), Valutazione dell’attività di sostegno e informazione alle partorienti: indagine nazionale. Rapporti ISTISAN 01/5, Istituto Superiore di Sanità.

3.  Ministero della Sanità (1998), DM 10/9/98. Gazzetta Ufficiale-Serie Generale n.245 del 20/10/98.

4.  Baglio G, Spinelli A, Donati S, Grandolfo ME, Osborn J. (2000), Valutazione degli effetti dei corsi di preparazione alla nascita sulla salute della madre e del neonato. Ann. Ist. Super. Sanità, 36, 465-478.

5.  ISTAT (1980), Annuario di statistiche demografiche. Roma, Istituto Nazionale di Statistica.

6.  ISTAT (2000), Nascite: caratteristiche demografiche e sociali. Anno 1996. Annuario 5. Roma, Istituto Nazionale di Statistica.

7.  Ministero della Salute – Direzione generale della programmazione sanitaria - sistema informativo sanitario – Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero – Dati SDO 2000.

8.  WHO (1985), Appropriate technology for birth. Lancet, 2,436-437.