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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Rapporto CeDAP - Anno 2017

Il rapporto annuale sull’evento nascita in Italia relativo al 2017, pubblicato dall’Ufficio di statistica del Ministero della Salute a settembre 2020, presenta le analisi dei dati rilevati dal Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP) seguendo le linee guida contenute nel Decreto del Ministro della Sanità del 16 luglio 2001.

 

Dai dati emerge che:

  • la rilevazione 2017 ha coinvolto un totale di 451 punti nascita, presentando un ottimo livello di completezza con la registrazione di un numero di parti avvenuti in ospedale pari al 100% di quelli rilevati con le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO)
  • relativamente al luogo di parto, l’89,5% dei parti si è svolto in Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 10,4% in case di cura private mentre lo 0,1% altrove. Il 5,8% dei parti avviene in strutture che assistono meno di 500 parti annui e la maggioranza (63,1%) in strutture che registrano oltre 1000 parti annui
  • nel 2017 il 21% dei parti riguarda madri di cittadinanza non italiana. Questo fenomeno è diffuso specialmente al Centro-Nord (25%) dove risiede la maggioranza dei migranti. In particolare, il 27,7% delle partorienti straniere proviene dall'Africa, il 24,4% dall’Unione europea, il 18,1% dall’Asia e il 7,5% dall'America del Sud
  • l’età media delle madri è di 32,9 anni per le italiane mentre scende a 30,4 anni per le cittadine straniere. Continua il fenomeno della diminuzione delle nascite (452 mila parti nel 2017 contro i 466 mila dell’anno precedente) e del tasso di fecondità che scende a 1,34 figli per donna con forte variabilità tra le Regioni
  • il 43,7% delle partorienti italiane possiede una scolarità medio alta, il 27,8% medio bassa e il 28,4% ha conseguito una laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (45,6%)
  • il 54,7% delle madri italiane ha un’occupazione lavorativa, il 29% sono casalinghe e il 14,3% disoccupate o in cerca di prima occupazione. Il 51,5% delle straniere che hanno partorito nel 2017 sono invece casalinghe
  • nell’86,5% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4 e nel 74,5% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie. La percentuale delle italiane che effettuano la prima visita dopo il primo trimestre di gravidanza è pari al 2,5% mentre per le donne straniere e per le italiane con titolo di studio elementare o senza alcun titolo questa percentuale è rispettivamente pari all’11,8% e al 12,9%
  • nel 91,85% dei parti vaginali, al momento del parto la donna ha accanto a sé il padre del bambino, nel 6,7% un familiare e nell’1,4% un’altra persona di fiducia
  • nel 2017 il 32,8% dei parti è avvenuto con taglio cesareo, con vistose differenze regionali. Nonostante un trend in lenta riduzione avviato da qualche anno, in Italia il ricorso all’espletamento del parto per via chirurgica rimane eccessivo e permane un tasso maggiore nelle case di cura accreditate (49,6%) rispetto agli ospedali pubblici (30,9%). Si ricorre al taglio cesareo nel 27,6% dei parti di madri straniere e nel 34,3% dei parti di madri italiane
  • l’1% dei nati ha un peso inferiore a 1500 grammi e il 6,4% è tra 1500 e 2500 grammi
  • sono stati rilevati 1317 nati morti corrispondenti a 2,86 nati morti ogni 1000 nati e un tasso di mortalità infantile pari a 2,81 decessi nel primo anno di vita ogni 1000 nati vivi
  • il ricorso a una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta utilizzato in media in 2,12 gravidanze ogni 100. La tecnica più utilizzata è la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET)
  • i parti classificabili secondo la classificazione di Robson sono complessivamente pari a 402.544, corrispondenti al 98,5% del totale dei parti avvenuti nei punti nascita pubblici, equiparati e privati accreditati. Grazie alla classificazione di Robson (raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, OMS) viene approfondita l’appropriatezza delle indicazioni al taglio cesareo. I parti, infatti, sulla base dei principali parametri ostetrici rilevati dal CeDAP (parità, genere del parto, presentazione fetale, età gestazionale, modalità del travaglio e del parto, pregresso del taglio cesareo), vengono classificati in 10 gruppi o classi di rischio mutualmente esclusive. La suddivisione in classi omogenee di rischio clinico, monitorabili nel tempo, offre la possibilità di individuare le aree critiche su cui lavorare a livello regionale e di singolo punto nascita. La variabilità nel ricorso al taglio cesareo (TC) per classi di Robson, rilevata tra Regioni e tra singoli punti nascita all’interno delle stesse Regioni, è ampia e conferma la necessità di promuovere maggiore appropriatezza nel ricorso al TC, come raccomandato a livello nazionale e internazionale.

Dalla sintesi dei dati appare evidente come il Rapporto CeDAP sia un flusso informativo strategico per la programmazione sanitaria a livello sia nazionale che regionale e costituisca la più attendibile fonte di informazioni sanitarie, epidemiologiche e socio-demografiche riferite all’evento nascita.

 

Le principali criticità meritevoli di attenzione di salute pubblica che emergono del rapporto riguardano sia aspetti demografici che clinico-organizzativi. Il calo delle nascite, dovuto prevalentemente al fenomeno strutturale della riduzione delle donne in età riproduttiva ma anche alla minore propensione ad avere figli, persiste anche nei dati del 2017. Nell’ultimo decennio la riduzione del numero di figli per donna ha riguardato anche le donne di cittadinanza non italiana che progressivamente non appaiono più in grado di compensare lo squilibrio strutturale per età della popolazione femminile italiana. Si tratta di un fenomeno suscettibile di temibili ricadute socio-economiche per il Paese e meritevole di interventi a sostegno della genitorialità e delle famiglie.

 

Le donne di cittadinanza straniera e le italiane con basso livello di istruzione risultano accedere tardivamente al primo controllo in gravidanza che è un indicatore di qualità dell’assistenza al percorso nascita. Le stesse popolazioni, caratterizzate spesso da condizioni di deprivazione sociale, presentano un maggior rischio di esiti sfavorevoli sia materni che feto/neonatali come descritto dal sistema di sorveglianza ostetrica ItOSS e dal progetto pilota di sorveglianza perinatale SPItOSS.

 

La riduzione del tasso nazionale di TC appare contenuta e lenta rispetto all’andamento atteso e la variabilità nel ricorso al parto chirurgico per area geografica, per Regione e per tipologia di punto nascita (pubblico/accreditato/privato) conferma un ampio margine di possibile miglioramento, specialmente nelle Regioni del Sud del Paese dove maggiore è la quota di presidi sanitari accreditati che ricorrono più frequentemente al TC. Il monitoraggio del ricorso al cesareo avviato in molte Regioni, anche grazie all’uso sistematico della classificazione di Robson abbinata alla pratica dell’audit & feedback, si è rilevato una modalità efficace per promuovere maggiore appropriatezza nelle indicazioni al TC. Il benchmarking inter e intra-regionale di tali iniziative e la validazione del loro impatto, come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è una opportunità percorribile in tutte le Regioni del Paese.

 

Risorse utili

 

Data di creazione della pagina: 8 ottobre 2019

Testo scritto da: Serena Donati - reparto Salute della donna e dell’età evolutiva, Centro Nazionale per la Prevenzione delle malattie e la Promozione della Salute, CNAPPS - ISS