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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Antibioticoresistenza in batteri zoonosici nell’uomo, animali e alimenti: la relazione Efsa-Ecdc

Luca Busani, Caterina Graziani - Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Reparto di Epidemiologia Veterinaria e Analisi del Rischio, Iss

 

22 marzo 2012 - L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc) pubblicano il secondo rapporto sulla resistenza agli antibiotici in batteri zoonosici riscontrati nell’uomo, negli animali e negli alimenti (pdf 12,3 Mb). Nel report sono presentati i dati relativi al 2010 di 26 Stati membri e di 3 Stati Efta (European free trade association). Il documento rappresenta un contributo importante alla lotta contro l’antibiotico resistenza, problema di sanità pubblica diffuso a livello globale.

 

Gli agenti zoonosici per i quali si sono raccolti dati di resistenza agli antibiotici sono Salmonella e Campylobacter isolati da casi umani, animali e alimenti di origine animale. Il report inoltre presenta i dati di resistenza di batteri commensali della flora intestinale, Escherichia coli ed Enterococchi da animali e da alimenti di origine animali a scopi comparativi, considerando che tali batteri sono comunemente diffusi in tutte le specie. Questa considerazione rende possibile una valutazione comparativa dei livelli di resistenza agli antibiotici nelle diverse specie animali.

 

Il report presenta anche dati più limitati relativi alla diffusione negli animali di isolati di Staphilococcus aureus resistenti alla Meticillina (Mrsa), un importante agente patogeno umano.

 

Un problema in evoluzione

La resistenza agli antibiotici è un fenomeno adattativo operato dai batteri, risale agli inizi della terapia antibiotica quando si è cominciato a osservare che alcuni batteri non risultavano sensibili a determinati farmaci; in sostanza presentavano una resistenza intrinseca. Accanto a questa resistenza, ben presto si è riscontrata la comparsa di una resistenza acquisita in ceppi batterici che originariamente erano sensibili a un determinato antibiotico. Questo tipo di resistenza può essere cromosomica (endogena) oppure extracromosomica (esogena).

 

La resistenza cromosomica si realizza tramite fenomeni di selezione e mutazione di tipo darwiniano, quindi interessa l’antibiotico verso il quale sono stati selezionati i mutanti resistenti e si trasmette per trasmissione verticale alle generazioni successive. La resistenza extracromosomica è l’acquisizione di nuova informazione genetica da altri microrganismi, può interessare più antibiotici contemporaneamente (resistenza multipla) e può essere trasferita anche a batteri appartenenti a specie differenti.

 

Oggi la resistenza agli antibiotici, a causa dell’aumento della morbilità, della durata della malattia e dei costi aggiuntivi è diventata un problema e una priorità di sanità pubblica a livello mondiale. Questa priorità si è aggravata con la comparsa di patogeni multiresistenti (patogeni resistenti contemporaneamente a più antibiotici), in particolare in ambiente nosocomiale, che ha ridotto la possibilità di un trattamento efficace ponendo gravi problemi di terapia.

 

In Europa l’impiego degli antibiotici nel settore veterinario è limitato alla terapia e profilassi di alcune malattie infettive degli animali, ma in passato, e tuttora in molti altri Paesi, alcuni antimicrobici sono stati estensivamente utilizzati come additivi nei mangimi, con funzione di promozione della crescita. Questo ha fatto sì che vi sia stato un uso intensivo e indiscriminato nel settore veterinario spesso con l’impiego di molecole di classe o struttura analoghe a quelle usate in medicina umana. Questo utilizzo ha portato all’insorgenza di fenomeni di antibiotico resistenza anche in batteri di origine animale, sia patogeni che commensali, aumentando il rischio di trasmissione all’uomo di malattie di origine animale (zoonosi) sostenute da agenti antibiotico resistenti.

 

In Italia, i dati della resistenza agli antibiotici nei batteri isolati da casi umani sono raccolti dalla sorveglianza Enter-net Italia coordinata dall’Istituto superiore di sanità, mentre i dati dagli animali sono raccolti dal Centro di referenza per l’antibioticoresitenza in batteri di origine animale (Crab), presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale di Lazio e Toscana.

 

I dati 2010 nella relazione Efsa-Ecdc

Secondo i dati 2010 presentati nel report, la resistenza agli antibiotici negli isolati da casi umani di Salmonella è un fenomeno diffuso, anche se con proporzioni variabili tra Stato e Stato. In Italia questo fenomeno si presenta in modo rilevante, collocando il nostro Paese ai primi posti come frequenze di isolati resistenti.

 

Negli animali la resistenza agli antibiotici varia tra i diversi Paesi e tra le diverse specie animali, presentandosi particolarmente elevata negli isolati di Salmonella da tacchino. Questo rilievo è di particolare importanza considerando che in Italia l’allevamento del tacchino su scala industriale rappresenta una quota molto importante della zootecnia.

 

La resistenza in Campylobacter isolati da casi umani è risultata frequente, soprattutto nei confronti di antibiotici quali ampicillina, ciprofloxacina, acido nalidixico e tetracicline, mentre è ancora poco diffusa la resistenza all’eritromicina. Anche in questo caso, l’Italia si colloca con i Paesi che hanno i livelli più elevati di resistenza.

 

Considerando la situazione negli animali, gli isolati di Campylobacter da specie avicole, suini e bovini hanno evidenziato elevati livelli di resistenza, sopratttutto a ciprofloxacina, acido nalidixico e tetracicline.

 

In generale, i dati presentati risentono ancora di difficoltà di armonizzazione nelle strategie di monitoraggio e nelle metodiche di determinazione della resistenza, rendendo talvolta difficile la lettura della situazione a livello generale. Sono però informazioni molto importanti se lette nel tempo nei vari stati, dove l’armonizzazione delle informazioni raccolte è maggiore. Resta comunque l’evidenza della diffusione del fenomeno, che richiede attenzione e interventi per le implicazioni di sanità pubblica che presenta.

 

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