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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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La sorveglianza: una componente del piano della prevenzione, nella Asl

9 aprile 2014 - Fino ad ora, l’esperienza dei Piani della prevenzione mostra che, a fronte di un grande sforzo di programmazione a livello centrale e regionale, le applicazioni pratiche nelle Asl sono state insufficienti. Ciò è imputabile a varie cause, tra le quali è possibile annoverare le seguenti tre:

  • la Asl, nel suo insieme, non si mette in gioco veramente sugli obiettivi del Piano, delegandone l’applicazione a singole strutture, se non addirittura a singoli professionisti che, messi di fronte a obiettivi ambiziosi come ad esempio la riduzione dell’obesità, possono fare ben poco
  • non si riesce a valorizzare le attività svolte ordinariamente, ad esempio la sanità fa moltissimo in relazione alla sicurezza stradale (dal pronto soccorso alla chirurgia alla rianimazione, passando per gli esami per il rilascio della patente, il Servizio Tossicodipendenze, per finire alla sorveglianza con Ulisse e Passi), ma sembra inconsapevole del fatto che tutte queste attività derivano da un evento prevenibile, l’incidente, considerato come una sorta di sciagura immodificabile e, comunque, fuori da raggio d’azione della sanità
  • gli obiettivi del Piano vengono sentiti come impegni ulteriori che vanno ad aggiungersi a un insieme di compiti ordinari che, da soli, tramortiscono i servizi delle Asl.

Questi motivi hanno pesi diversi a seconda dei contesti, si pensi ad alcune realtà, molte meridionali, che non sono riuscite a interpretare il Piano come un’opportunità, ma piuttosto come un ulteriore fardello. C’è però una cosa che tutte le Asl fanno e che può essere utilizzata come un motore del piano della prevenzione nella Asl: la sorveglianza.

 

In che modo la sorveglianza può mettere in moto il Piano nella/della Asl?

 

Primi Passi

A un primo livello, c’è l’attività tipica della sorveglianza, intesa come indagine epidemiologica,cioè quella di produrre dati di popolazione, raccolti in schede e report aziendali, usati per il profilo dello stato di salute e l’individuazione di obiettivi. Si può prevedere che questo uso aumenterà, man mano che la sorveglianza migliora la sua reputazione e i clinici della Asl, dal diabetologo al cardiologo e così via, cominciano a chiedere e usare i dati che riguardano il diabete, l’ipertensione, le malattie respiratorie, le malattie infettive e così via.

 

A un livello più avanzato c’è l’uso dei dati per la comunicazione e l’advocacy che si realizza quando, su un particolare tema, vengono individuati i soggetti direttamente interessati presenti nel sistema sanitario, nelle istituzioni e nella comunità ed essi vengono attivamente e sistematicamente aggiornati in merito ai risultati della sorveglianza e ad altre evidenze, in qualche caso attraverso una newsletter. In questo modo, comincia a prendere forma una rete che, successivamente, potrà essere attivata dalla Asl.

 

A questi livelli, i dati della sorveglianza, integrati a quelli forniti sullo stesso tema da altri sistemi informativi permettono una migliore comprensione del problema di salute pubblica oggetto del Piano nazionale della prevenzione.

 

Fare rete

Un ulteriore livello di azione della sorveglianza è quello in cui essa è qualcosa di più di un sistema informativo, una vera e propria infrastruttura della sanità pubblica che, grazie ai professionisti che la conducono, è in grado di fare rete nella Asl. A questo livello le azioni sono due:

 

(a)  individuare i soggetti sanitari direttamente interessati

(b)  costruire un’alleanza (comitato, tavolo, gruppo di lavoro, altro organismo).

 

Un esempio di come funziona il lavoro della sorveglianza nel fare rete, è stato presentato in un recente workshop Passi sulla sicurezza stradale nella Ausl di Cesena. Qui la Direzione creò un comitato coordinato dal Dipartimento di Prevenzione e composto dalle strutture della Ausl che lavorano in questo campo. Fare rete è importante perché, da un lato valorizza le attività ordinarie della Asl per quel problema di salute, dall’altro rappresenta un vero intervento perché può conquistare ad un approccio di sanità pubblica, prima varie strutture della Asl e poi interi segmenti della comunità.

 

Il contributo specifico della sorveglianza è di consentire a questa partnership di avere una visione di popolazione del problema di salute, fornendo sistematicamente i dati che consentono di valutare il suo andamento. 

 

Promuovere programmi e interventi

Il gruppo di lavoro, comitato o altro organismo della Asl può decidere di promuovere programmi e interventi specifici a cui i professionisti della sorveglianza partecipano con i loro risultati, apportando un punto di vista di popolazione ad un intervento settoriale. D’altro canto, spesso nella Asl esistono programmi già in corso. Questa è la situazione nella quale la sorveglianza può sostenere questi programmi e interventi con i suoi dati. In questi casi la sorveglianza dovrebbe porsi a servizio delle esigenze di chi nella Asl è responsabile dell’intervento e lo guida, diventando man mano una componente del programma stesso.

 

Infine, la sorveglianza è in grado di fornire un contributo più completo nei casi in cui la Asl conduce programmi per la cui gestione ha bisogno del supporto di dati epidemiologici. Si pensi, ad esempio, al programma vaccinale della Asl che per il suo funzionamento rileva già dati come quelli sulle coperture vaccinali o sul carico e scarico, ma necessita anche di monitorare l’incidenza della malattia e delle reazioni avverse. Oppure il caso del programma organizzato di screening che rileva ed usa i dati necessari per tenere sotto controllo la qualità dello screening, ma necessita anche dei dati di copertura che considerino sia le persone che si sottopongono allo screening offerto dalla Asl che quelle che si rivolgono a strutture diverse. Per le esigenze descritte negli esempi citati, la sorveglianza sulle malattie prevenibili con vaccino, nel primo caso, e Passi nel secondo, sono in grado di sostenere i programmi di prevenzione.