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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
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Coordinamento nazionale Passi: il terzo incontro

Roma 26-27 settembre 2012

 

I programmi di screening oncologici

 

25 ottobre 2012 - Lo screening oncologico va considerato un percorso, che include anche il test diagnostico, finalizzato a risultati di salute. Antonio Federici (pdf 128 kb), che ha aperto i lavori della seconda giornata del workshop, rappresenta così il punto di vista del ministero della Salute sull’offerta di screening.

Nell’attuale sistema sanitario, ha ricordato ancora Federici, i tre screening oncologici raccomandati rappresentano altrettanti livelli essenziali di assistenza, e pertanto dovrebbero essere garantiti alle rispettive popolazioni target. Questi percorsi implicano la collaborazione tra territorio e ospedale e tra diverse professionalità e discipline, che per quanto difficile da realizzare, rimane un obiettivo assolutamente prioritario, anche alla luce del fatto che la copertura degli screening è uno dei 21 indicatori di monitoraggio dei Lea in Italia.

Federici ha continuato illustrando i dati di copertura dei tre screening e sottolineando la distanza tra obiettivi di copertura e realtà, ancora insufficiente in molti Regioni italiane.

L’analisi dei principali motivi che danno conto di questa disparità ha preso in considerazione: le difficoltà nell’offerta del servizio, le incoerenze normative, la sfida rappresentata dall’innovazione.

Per quanto riguarda i problemi organizzativi, ha continuato Federici, è evidente che per un’offerta davvero capillare sono indispensabili assetti organizzativi adeguati. Sembrerebbe un obiettivo tra i più difficili, ma le realtà in cui questo già avviene sono lì a dimostrare che si tratta invece di un obiettivo effettivamente raggiungibile, anzi che quello dell’organizzazione è probabilmente l’ambito in cui è più facile ottenere miglioramenti.

Maggiori le difficoltà sul fronte normativo, dove due leggi attualmente in vigore si contraddicono nel definire l’offerta delle Asl sul test di screening: da un lato il DPCM sui Lea ci dice che dobbiamo garantire il percorso dello screening preventivo, dall’altro il pap test e la mammografia sono, in quanto test diagnostici preventivi, esenti da ticket. Le due norme interferiscono, perché possono portare la stessa Asl a offrire lo screening come percorso e lo screening come test, un’ evidente incongruenza. I due interventi, infatti, sono caratterizzati da efficacia diversa e costi diversi: sia sotto il profilo costi sia per quanto riguarda l’efficacia, lo screening organizzato è superiore rispetto al test preventivo spontaneo.

Difficoltà organizzative e incongruenze normative sono entrambi aspetti che ripropongono la necessità di una buona governance degli screening in un sistema sanitario regionalizzato, ha commentato Federici.

Infine c’è il problema dell’innovazione: una sfida sul futuro che nel caso degli screening riguarda alcuni punti ben individuati. Il primo è quello della stratificazione genetica del rischio, che può portare a percorsi differenziati a seconda del profilo di rischio individuale. Per dotarsi degli strumenti necessari per affrontare una sfida come questa, all’interno del Piano nazionale della prevenzione, è stato messo a punto un piano di "public health genomics".

Il secondo punto riguarda la necessità di coniugare interventi di prevenzione individuali con interventi sul sistema sociale: è il caso di alcuni fattori di rischio, come l’obesità o il fumo. L’obesità è un fattore di rischio per il cancro al seno, la cui prevenzione secondaria è affidata allo screening, ma l’obesità è anche parte degli interventi di Guadagnare Salute. È necessario quindi che i due ambiti comunichino di più tra loro.

In chiusura Antonio Federici ha illustrato le esigenze del Ministero per quanto riguarda quella che ha definito: intelligenza dei fenomeni. Quali sono i bisogni informativi dei decisori? Non solo semplici dati, ma arrivare a mettere insieme, integrandoli, punti di vista diversi (intelligence). È il caso, nello screening, delle informazioni raccolte dall’Osservatorio nazionale screening sui programmi organizzati dal punto di vista dei servizi (estensione, adesione, qualità) che devono andare a integrarsi con le informazioni ottenute dai cittadini, come fa il Passi. L’iniziativa del confronto tra Osservatorio e Passi rappresenta l’esempio pratico di un lavoro necessario per passare dai dati all’intelligence.

 

Marco Zappa (pdf 2,1 Mb), direttore dell’Osservatorio nazionale screening (Ons) ha ripercorso rapidamente la storia dell’Osservatorio, iniziata idealmente a Venezia agli inizi degli anni Novanta, quando i programmi di screening in Italia rappresentavano esperienze pilota, non erano ancora Lea e anzi soffrivano di incerta definizione (test di screening oppure programmi organizzati?).

L’Osservatorio ha fatto la scelta di individuare come oggetto della propria attività "il programma di screening organizzato" che include varie fasi e operazioni (dall’individuazione della popolazione target fino alla diagnosi precoce, agli approfondimenti diagnostici e ai trattamenti). Qual è il vantaggio? Da un lato la dimostrata superiorità dei programmi organizzati, sotto i profili di efficacia e appropriatezza, dall’altro, ugualmente importante, il fatto che dal punto di vista epidemiologico l’attività di prevenzione spontanea non è misurabile, mentre i programmi organizzati lo sono.

“Che cosa si può misurare?” - ha continuato Zappa - L’Osservatorio misura i programmi sia quantitativamente (estensione e adesione), sia qualitativamente attraverso appositi indicatori, raccolti nella survey annuale.

La survey dell’Osservatorio ha due significati: da una parte un valore di certificazione documentando in che misura la Regione ha assicurato il livello essenziale di assistenza.

In secondo luogo la survey rappresenta la base che supporta il processo di miglioramento continuo della qualità dei programmi di screening (anche se individuare i problemi è più facile che risolverli).

Oltre all’attività legata alla survey, l’Osservatorio cerca di offrire risposte agli interrogativi che sorgono nella pratica e che riguardano l’efficienza dello screening (si è dimostrato, per esempio che per singolo tumore individuato i costi dei cosiddetti esami spontanei mediamente sono maggiori del 65% a quelli sostenuti per i programmi organizzati), oppure l’appropriatezza, o l’equità (maggiore nei programmi organizzati).

I principali problemi dei programmi di screening oggi sono:

  • il gap nord-sud
  • i tempi di attesa tra test positivo e approfondimento diagnostico (la seconda criticità per i programmi in ordine di importanza)
  • la qualità percepita: nonostante la dimostrata superiorità dei programmi organizzati, infatti, la qualità percepita dagli utenti è molto minore rispetto a quella accordata all’accesso spontaneo.

L’Osservatorio, peraltro, ha ricordato Zappa, non riesce a misurare la qualità percepita. La approssima alla fedeltà al programma, ma è consapevole che si tratta di due cose diverse. 

Zappa ha concluso valutando positivamente la collaborazione con il Passi che ha portato a comunicare i dati in maniera congiunta e a confrontarli. E ha ricordato le aspettative sul proseguimento della collaborazione con la sorveglianza: informazioni su Hpv e vaccinazioni, man mano che arrivano all’osservazione del Passi le coorti di donne vaccinate, informazioni sulla mammografia sotto i 50 anni e sopra i 70 anni, informazioni sulla colonscopia preventiva spontanea.

 

Nicoletta Bertozzi (pdf 408 kb) (Gruppo Tecnico Passi) ha illustrato i risultati principali del Passi per quanto riguarda i programmi di screening organizzati: per ciascun programma il sistema di sorveglianza consente di avere una visione della copertura al test di screening riferita all’intera popolazione target, comprensiva delle persone che eseguono il test all’interno dei programmi organizzati, di quelle che lo eseguono come prevenzione individuale e di quelle non lo hanno mai eseguito o che non rispettano la periodicità consigliata dalle linee guida.

La copertura al test di screening è elevata per lo screening cervicale e lo screening mammografico, mentre è ancora bassa per quello colorettale, avviato solo negli ultimi anni. Ogni screening presenta un forte gradiente territoriale, con coperture significativamente più basse nelle regioni meridionali. Il ricorso alla prevenzione individuale è particolarmente evidente per lo screening cervicale (circa 1 donna su 2 esegue il test di screening al di fuori dei programmi organizzati), mentre è più contenuto nello screening mammografico e quasi irrilevante in quello colorettale.

Il sistema di sorveglianza – ha ricordato Bertozzi - consente una lettura anche alla luce della presenza di diseguaglianze: nelle Regioni che possono contare su programmi di screening organizzati e sufficientemente funzionanti (per lo più quelle centro-settentrionali) l’esecuzione del test di screening è significativamente più alta e si riducono le differenze nell’accesso per livello di istruzione, condizione economica e cittadinanza.

I programmi di screening organizzato, ha concluso Bertozzi, si mostrano più efficaci rispetto alla prevenzione individuale nell’aumentare l’adesione alle linee guida e nel ridurre le diseguaglianze di accesso legate a fattori socio-economici. L’implementazione degli screening organizzati nelle Regioni del Sud può pertanto contribuire a ridurre differenze territoriali ancora rilevanti.

 

Paolo Giorgi Rossi (pdf 1,5 Mb) (Servizio Interaziendale di Epidemiologia, Ausl Reggio Emilia) ha spiegato i mutamenti intervenuti nel campo dello screening della cervice uterina, uno screening basato su un test (Papanicolau) che esisteva già negli anni ’40 del secolo scorso, che si è strutturato negli anni ’70 e definitivamente sviluppato negli anni ’90. Nell’ambito di questo lento percorso è però intervenuta una evoluzione rapidissima legata alla scoperta che alcuni ceppi del papillomavirus sono la causa del cancro cervicale. In pochissimo tempo è nato un nuovo test e si è passati dalla conoscenza di base all’attuazione di strategie e interventi.

Fino a poco tempo fa – ha ricordato Giorgi Rossi - il test Hpv è stato utilizzato nel programma di screening cervicale per il follow up delle lesioni pre-invasive (Cin di alto grado) e per il triage (Ascus e Lisl).

Oggi abbiamo chiare evidenze che uno screening basato sul test Hpv ogni cinque anni e che segua appropriati protocolli è più efficace di uno screening basato sul Pap test ogni tre anni.

Restano però alcuni aspetti del protocollo da ottimizzare: il follow up delle donne positive in cui non si trovano lesioni e come utilizzare i nuovi biomarker prognostici, per esempio. Ci sono anche problemi organizzativi da risolvere, quali: che cosa faranno i citologi impegnati nello screening col Pap test se si passerà integralmente allo screening con Hpv test?

La riflessione e la discussione su tutti questi aspetti dovranno essere approfondite nei prossimi tempi, ha concluso Giorgi Rossi.

 

Sandro Baldissera (pdf 366 kb) (Gruppo Tecnico Passi) ha chiuso l’incontro con una riflessione sui punti di forza e i punti di debolezza degli indicatori Passi sugli screening. L’esposizione ha approfondito perché il confronto tra i dati di copertura ottenute dall’Osservatorio, che si basano sull’attività dei servizi nell’arco di un anno di calendario, con i dati di copertura ottenuti da Passi che si basano sugli ultimi 2 o 3 anni vissuti dal rispondente prima dell’intervista, non può essere interpretato in modo immediato. Ha poi mostrato le molteplici diversità di approccio e alcuni dei tipici bias connaturati a una indagine basata su interviste, bias da ricordo, da reticenza e soprattutto, nel caso dello screening, il cosiddetto bias telescopico, per cui il rispondente tende a dichiarare il test di screening effettuato più vicino nel tempo rispetto alla realtà.

Si tratta di due punti di vista diversi, ha concluso Baldissera: da un lato, il punto di osservazione è il servizio di screening e il vantaggio è di poter misurare la attività e la qualità di questi servizi. Dall’altro, il punto di vista è quello del cittadino e quindi è possibile descrivere, oltre alla copertura, anche la percezione, le diseguaglianze sociali e altre problematiche che mancano all’esame dell’Osservatorio. Ecco perché la collaborazione è il vero punto di forza di un’alleanza tra le due attività.