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Istituto Superiore di Sanità
EpiCentro - L'epidemiologia per la sanità pubblica
Istituto Superiore di Sanità - EpiCentro

Servizi per le dipendenze (SER.D.) durante l’emergenza COVID-19

Il contributo dell’equipe di un Ser.D. genovese

In questo periodo di eccezionale emergenza si sono susseguiti rapidi aggiornamenti da parte dei Responsabili e dell’Azienda in cui lavoriamo, definendo sempre di più le misure da mettere in atto da parte dei professionisti che operano nel Ser.D.

 

Alcune tra le attività non urgenti sono state sospese: questo ha determinato dapprima un momento di smarrimento in operatori abituati a lavorare su innumerevoli attività che nel tempo avevano generato una routine, lasciando meno spazi alla necessaria creatività che i nostri servizi richiederebbero, essendo le dipendenze una materia in continua evoluzione.

 

Il servizio offerto è stato riorganizzato in modo tale da garantire il mantenimento delle cure di primaria importanza per i pazienti del nostro servizio all’interno della messa in atto delle varie misure di protezione individuale per il personale e i pazienti al fine di garantire, per quanto possibile, la sicurezza del luogo di lavoro e del luogo di cura.

 

L’uso dei dispositivi di protezione individuale

Questo ha voluto dire l’utilizzo da parte di tutto il personale dei DPI (mascherine chirurgiche, etc.), la ristrutturazione degli spazi dell’area di somministrazione, le modalità di accesso al servizio e le stesse modalità di somministrazione del farmaco.

 

La messa in atto di tali cambiamenti da recepire con straordinaria ed eccezionale rapidità, non è stato un qualcosa di scontato ma ha richiesto un forte sforzo di adattamento e partecipazione attiva da parte di tutto il personale e dei pazienti che, apparentemente in modo sorprendente, hanno nella grande maggioranza dei casi accettato di buon grado.

 

Per chi non lavora all’interno dei Ser.D. non è facile comprendere le motivazioni storiche, culturali e relazionali che in passato hanno spinto il personale a non utilizzare la divisa di servizio e a creare spazi il meno ospedalieri possibile. Tale intento era strettamente correlato alla creazione di un luogo di cura incentrato sulla persona e sulla relazione.

 

Creare nuovi spazi

Ridurre i contatti tra di noi, con e tra i pazienti, ha generato una sensazione iniziale di sospensione; di fronte alla necessità di distanziamento si sono dovuti immaginare e creare spazi per le persone. La sensazione “paradossale” era che non ci fosse spazio per lo spazio. Tale sensazione ha poi lasciato posto a un permanente “principio”, nel senso che tutto è cambiato.

 

La visione “dell’altro” si è modificata, concentrandosi forzatamente sullo sguardo, diventando più attenta e dove la distanza, che consente di leggere movimenti, atteggiamenti, postura, ha determinato di dover fare maggior attenzione alle parole. È diventato, insomma, necessario imparare a conoscersi e riconoscersi in questa nuova diversità.

 

Fare spazio significa tornare all’essenziale e la riorganizzazione spaziale rimanda anche all’organizzazione mentale nella quale si modifica la percezione delle cose e delle priorità.

 

Dalla disposizione delle sedie in sala d’attesa, alla modalità di relazione tra operatori e tra operatori e pazienti, si sono dovuti creare nuovi modelli interattivi.

 

Il limbo in cui ci siamo trovati poteva determinare una situazione di stallo, oppure una situazione in cui per poter continuare a lavorare si doveva “gioco forza” creare qualcosa di diverso. Il fatto di essere una equipe multidisciplinare e con formazioni teoriche diverse ha permesso di mettere insieme teorie e prassi che hanno determinato alcuni cambiamenti nell’operatività le cui risposte sono oggetto delle considerazioni che andremo a fare.

 

La vita non è affatto sospesa, si va riempendo di nuove esperienze, nuovi vissuti e nuovi comportamenti, in un processo di adattamento forse più veloce di quanto ci si renda conto.

Ci siamo chiesti come sarebbe cambiato Il nostro lavoro, da sempre basato sulla possibilità di stabilire vicinanza emotiva ed empatica in questa realtà nuova, per certi aspetti brutale, che ci appariva con una carica disgregatrice di consolidati rapporti sociali, coinvolgente, o meglio “stravolgente” di ogni aspetto della vita personale e sociale e come tutto questo si sarebbe declinato nei nostri pazienti e nel nostro rapporto con loro.

 

La necessità di distanziamento sociale declinata in un Ser.D., poteva essere attuata con la sospensione di tutte le attività che non fossero strettamente legate alla somministrazione di terapie agoniste o poteva continuare con altre modalità.

 

Abbiamo, rispetto ai colloqui in stanza, previlegiato i contatti a distanza (telefonici o via Skype). Tali contatti potevano essere percepiti come limitativi privando l’operatore del linguaggio del corpo ma sono risultati efficaci in questo periodo di solitudine e inquietudine, come un segnale di disponibilità in un momento di difficoltà comune.

 

Ci siamo trovati tutti in una sorta di gabbia interna e/o esterna e il fatto di esserci tutti, ha modificato il rapporto con alcuni pazienti e con la visione che loro hanno di noi.

 

Per alcuni pazienti, particolarmente vulnerabili rispetto al percepirsi diversi dagli altri perché più soli, con minori capacità sociali, con carenze di vario genere, questo essere tutti colpiti, ritirati e sospesi, ha avuto un effetto lenitivo. Anche noi curanti siamo stati visti anche come persone a cui rivolgere una domanda autentica e non formale: “lei come sta?”.

 

Il contagio, la possibilità di contrarre una infezione subdola e diffusa ha determinato la costruzione di “mura invisibili”, determinato confini insormontabili, rinchiuso i pazienti con disturbo da uso di sostanza, in una dimensione spazio/tempo limitata. Questo aspetto della pandemia, apparentemente ansiogeno e inquietante, in realtà, in alcuni pazienti ha avuto un effetto contenitivo, forse ancor più significativo del contenimento abitualmente messo in atto.

 

Ecco quanto abbiamo osservato rispetto al comportamento di molti pazienti:

  • diminuzione delle richieste incongrue
  • maggior aderenza ai protocolli terapeutici
  • maggior rispetto delle regole

Dal nostro angolo di osservazione sembra, come è già successo in altre situazioni di emergenza del passato, che, soprattutto i pazienti con problematiche gravi, in tali situazioni, diventino molto più adeguati e ragionevoli.

 

Dall’altra parte, gli stessi possono essere, talvolta, inadeguati nelle misure di autoprotezione (mascherine, igiene, mantenimento delle distanze) e proprio per questo è aumentato il nostro ruolo di educazione sanitaria.

 

In molti pazienti, inoltre, si sono riscontrati due atteggiamenti opposti: il “panico” da coronavirus o la negazione, solo pochi riescono a mantenere una paura sana e protettiva. In questi atteggiamenti estremi riflettono aspetti che accomunano anche il resto della cittadinanza.

 

Abbiamo osservato cambiamenti anche tra di noi operatori: aumento della forza di raccomandazione del rispetto delle regole e aumento della solidarietà e coerenza tra i colleghi sul mantenimento delle linee guida.

 

Tutto ciò, che fa pensare quanto sia stabilizzante un principio esterno di autorità, non ci rende meno consapevoli del fatto che, perché ci sia vero contenimento in senso terapeutico, ci debba essere anche e soprattutto la relazione. Anche in questa “sospensione”, quindi, possiamo e dobbiamo restare punti di riferimento stabili per i nostri pazienti, se pure in questo necessario cambiamento di setting.

 

Cosa aspettarsi nel futuro?

La dilatazione del fattore tempo rallenta anche la corrente dei nostri pensieri, dandoci la possibilità, se vogliamo, di osservarla, di osservare ognuno la propria visione della realtà, il proprio paradigma, ma prima ancora, dà la possibilità ad ognuno di diventare consapevole di vivere in un paradigma.

Alcuni pazienti coglieranno questa opportunità, altri no. Per noi sarà interessante condividere le loro impressioni e stare loro accanto fornendo gli strumenti necessari, se vorranno, al cambiamento.

 

Data di creazione della pagina: 15 maggio 2020

Autore: Paolo Berretta - Centro nazionale dipendenze e doping, ISS con il contributo di
Mirella Stefanini, Alessandro Pala Ciurlo, Cristiana Busso - Ser.T. Distretto 13 - Genova